Si dice spesso che l’Alto rappresentante dell’Unione Europea sia un mestiere impossibile. Croce e delizia della politica continentale a capo della diplomazia e di una serie di acronimi ai più sconosciuti, il ruolo sembra essere stato creato per non fare danni o non fare la differenza. A meno che l’occupante si cosparga il capo di cenere per i peccati dell’Europa e poi provi a moltiplicare pani e pesci in quell’ossimoro che è la “politica estera europea.” È un po’ troppo chiedere tutto questo alla persona indicata al ruolo, l’attuale premier estone Kaja Kallas, come parte del pacchetto che governerà il Continente nei prossimi cinque anni. Eppure dobbiamo provare ad aver fede.

La politica estera e di sicurezza comune è stata una chimera dell’integrazione europea sin dagli anni ‘50. Laddove si procedeva spediti nel mettere a fattore l’economia, dal carbone e l’acciaio all’Euro, gli Stati membri dell’Unione hanno sempre visto la cessione di sovranità in questo ambito come un tabù. In fondo non è molto diverso dai tifosi che all’Europeo cantano a squarciagola inni nazionali che chiamano i cittadini alle armi e si dichiarano pronti alla morte. Magari oggi nell’Ue si combatte solo per la sopravvivenza agli ottavi di fi nale, ma è ancora inconcepibile immolarsi per Bruxelles. Guerra e pace sono istintivamente materie emotive, esistenziali e nazionali. Per questo l’Europa ha proceduto in questo campo a passo di lumaca.

Due passi in avanti, spesso sospinti dall’ambizione e la megalomania di Parigi, e uno indietro, frenati dalle psicosi collettive di Berlino. Fra l’ennesimo documento strategico che prova a trovare un minimo comun denominatore fra i 27. E mirabolanti slogan a effetto, ultimo in ordine di tempo “l’autonomia strategica”, con la quale Macron spiegava all’Europa come disfarsi dell’America e della NATO. Nel frattempo però il mondo è cambiato radicalmente e non a nostro favore. L’Europa è sempre più periferia di un globo dove perfino i contorni della competizione fra le superpotenze americane e cinesi sono spesso sfumati e dove l’emisfero a sud dell’Equatore reclama un posto a tavola e non sul menù. Ed evidentemente è un mondo dove la guerra, quella di trincea del diciannovesimo secolo, è tornata ad essere parte delle nostre preoccupazioni e delle nostre vite.

Gli estoni compatrioti della Kallas sono un popolo singolare. Odiano giustamente di essere definiti ex-sovietici, ma è il miglior modo per spiegare perché non si sono mai fatti illusioni sui russi. Hanno gli anticorpi e con essi un cinismo che solo gli europei orientali possono davvero comprendere. Non si offenderebbero se volessimo chiamarli falchi. La verità è che nei prossimi cinque anni ci saranno innumerevoli tentazioni per le tante colombe europee di tornare a fare accordi ed affari con il Cremlino. Europei come Kallas hanno memoria e cicatrici della vita al di là della Cortina di ferro. Saranno lì ad ammonire ed esorcizzare le tentazioni e a ricordarci che quello che sta accadendo in Ucraina da oltre due anni non è solo un incidente di percorso ma un dado tratto, dal quale non si può tornare indietro.

Curiosamente, gli estoni amano definirsi nordici anche se tecnicamente non lo sono. Eppure per cultura, temperamento e lingua hanno tratti ed istinti che sono più scandinavi che slavi. Non è solo folclore: associamo ai nordici una reputazione di equilibrio, umanitarismo e impegno internazionale: una specie di coscienza morale del mondo. Durante la Guerra fredda, la loro neutralità rappresentava un’oasi di buon senso al di fuori e al di sopra della scelleratezza dello scontro fra blocchi. Da Reykiavik a Helsinki, i nordici hanno ospitato alcuni dei più importanti vertici del disgelo fra Est e Ovest. I politologi hanno fin da allora fatto riferimento alla Scandinavia come “comunità della sicurezza”, ovvero un gruppo di Paesi che grazie ad un sentimento comune, all’essere comunità, hanno di fatto reso la guerra fra di loro impossibile. Impossibile oggi immaginare come sarà il mondo nel 2029, ma è palese che sarà un quinquennio complesso e sempre più determinato da fattori che non siamo in grado di controllare. Tutti i singoli paesi europei, Italia compresa, sono vasi di coccio fra giganti otri di ferro. Diamo allora fiducia a questa nuova sacerdotessa laica della guerra e della pace; non abbiamo molte alternative.

Fabrizio Tassinari

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