Come in un caleidoscopio, si legge l’intervista al Corriere della Sera di Ernesto Maria Ruffini e si riflette l’immagine (e le parole) di Romano Prodi. Stesso eloquio, un percorso simile (l’Iri come l’Agenzia delle Entrate), in fondo anche lo stesso contesto. A distanza di quasi 30 anni, allora come oggi, la sinistra ha davanti un problema non di poco conto: nel 1995 i Ds, dilaniati dalla divisione tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema, scontavano il poco tempo trascorso dalla svolta di Achille Occhetto (sconfitto nel 1994); nel 2024 l’imprevista (ovvero la segretaria che vinse a sorpresa le primarie) è considerata troppo “gruppettara” per ambire alla fascia da capitana. Ieri c’era da trovare un’alternativa a Silvio Berlusconi, oggi a Giorgia Meloni. Corsi e ricorsi della storia.

Il nome dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate ha cominciato a girare vorticosamente negli ultimi giorni. Un convegno eloquente alla Lumsa. Beppe Fioroni e Bruno Tabacci di nuovo freneticamente al lavoro, come ai vecchi tempi. Si racconta di un sodalizio importante tra il Vaticano (il fratello di Ruffini, Paolo, è Prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa Sede) e i portici del centro storico di Bologna, con Dario Franceschini e il redivivo Lapo Pistelli dietro le quinte. E lo zampino di Goffredo Bettini, in versione battitore libero. D’altra parte il fondatore del Pd è da sempre sostenitore di un’alleanza tra una sinistra che torna a fare la sinistra e i cattolici tesi a raccogliere i voti dei moderati. In pratica una nuova Margherita, che oggi però partirebbe con un imprinting fortemente cattolico. Ovvero senza quell’impasto laico che determinò il successo dell’Ulivo prima e della creatura di Francesco Rutelli poi.

Schlein sente puzza di bruciato. Per dire che il Nazareno è molto guardingo, non si fida, e la segretaria teme di essere il vero obiettivo dell’operazione in “fieri”. E sia chiaro, crede di essersi conquistata sul campo il diritto alla sfida. Insomma, lo show del prossimo futuro, Elly contro Giorgia. “Non coltivate l’illusione di scalzarmi”, manda a dire dai suoi scagnozzi agli avversari interni e laterali. I parlamentari del Pd, infatti, colgono gli aspetti ruvidamente polemici che Ruffini ha riservato al governo: “Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie”. E li rilanciano, come fa il senatore Antonio Misiani: “Le parole di un servitore dello Stato di grande levatura come Ruffini, direttore dimissionario dell’Agenzia delle Entrate, dovrebbero fare riflettere tutti”. Encomio al civil servant, silenzio sul possibile ruolo di sfidante.

In realtà la nuova Margherita sarebbe partita con un vistoso passo falso. Lo fa notare uno che se ne intende, essendo stato il “regista” dietro le quinte dell’ascesa di Francesco Rutelli: Michele Anzaldi. Il suo ragionamento è impietoso: “Alla fine, il bilancio di questa brutta pagina politica è veramente disastroso. Il paese ha perso uno dei migliori direttori delle Agenzie delle Entrate. Ruffini ha preso un servizio che funzionava talmente male da indurre parecchi cittadini a proteste drammatiche, ai tempi di Equitalia. Il centrosinistra per l’ennesima volta ha dimostrato mancanza di coordinamento. Sono abili nel dividersi e nel non fare fronte comune anche davanti all’aggressione ingiusta e immotivata del governo a un professionista che sino a ieri era indicato ad esempio”. Secondo lo spin doctor, l’operazione di Ruffini nasce con i tempi sbagliati.

Una certa freddezza si riscontra anche in coloro che dovrebbero essere gli interlocutori del nuovo progetto politico: Azione e Italia Viva. “Non siamo interessati a nuovi cespugli del Pd”, dice ad esempio Carlo Calenda. Incredibilmente anche dalle parti di Matteo Renzi nessun entusiasmo. Il capogruppo Enrico Borghi liquida: “Se per costruire una casa si parte dal tetto viene giù tutto”. Ora manca solo una riedizione della Canzone popolare.