Dovevano preparare una missione top secret, i membri della delegazione del Ministero degli Interni volati a Tripoli lo scorso 3 gennaio. Una delegazione guidata dal capo della Polizia, il prefetto Lamberto Giannini, e dal Direttore dell’Aise, il generale Giovanni Caravelli. Il più alto rappresentante dei servizi di intelligence all’estero non va se non per questioni di primaria importanza. E muovendosi in gran segreto. Ma qualcosa è andato storto: i libici tradiscono il patto di riservatezza e fanno irrompere un fotografo nel bel mezzo della riunione. Due agenti italiani, al comparire del fotografo, hanno avuto la prontezza di voltarsi di schiena. Ma la frittata è fatta e i libici rendono pubblico l’incontro.
Alessandro Scipione è responsabile del desk Nord Africa e Medio Oriente dell’agenzia Nova. Produce da Roma un notiziario in arabo che tiene conto anche delle notizie locali. È lui che il 3 gennaio scorso riceve da Tripoli una segnalazione. Una nota che ai libici serve far uscire dal paese: devono accreditare il raffazzonato governo di unità nazionale e la visita delle massime autorità del Viminale è affare sin troppo ghiotto. Oggetto della riunione? La visita di Stato del Ministro Matteo Piantedosi in Libia, già nell’immediato. E con ogni probabilità anche quella della premier Giorgia Meloni, che ha già messo nell’agenda dei desiderata, dopo Baghdad, e le preannunciate Kiev e Algeri, anche Tripoli. Per la quale è al lavoro anche la Farnesina. Il Ministro Antonio Tajani ha messo in agenda di recarsi a Tunisi.
Il “Piano Mattei” è ambizioso, partirà dall’Algeria e si estenderà a Libia e Tunisia. Punta a ricucire i Paesi del Maghreb nella cerchia degli amici nel duplice scambio che vuole il governo: più gas e meno migranti. E poi c’è qualche tensione da tenere sotto controllo. In Libia è andato negli stessi giorni anche il generale Figliuolo, con la rimodulazione della missione di sanità militare Miasit. La contestazione della popolazione di Misurata è vibrante, il permanere di una missione militare italiana con oltre trecento effettivi inizia a essere mal tollerata. E forse le pressioni turche, che hanno messo l’occhio sulla possibilità di installare una base militare a Misurata, hanno esercitato un qualche peso sul malcontento dei civili. Ecco che il personaggio centrale dell’incontro della delegazione italiana diventa preziosissimo. Quasi da blandire. O per lo meno da perdonare, per certi eccessi di pubblicità. Stiamo parlando del leader delle milizie armata di Zintan, Emad Trebelsi (o Imad Trabelsi, secondo altre traslitterazioni).
È lui l’uomo che il capo della polizia e il direttore dell’Aise hanno incontrato. Di recente è stato nominato ministro dell’Interno dal primo ministro Dbeibah malgrado le resistenze internazionali e gli imbarazzi dei servizi di intelligence. È lui a diramare il comunicato con cui si certifica l’avvenuto vertice, che ha “discusso le prospettive di una cooperazione congiunta in materia di sicurezza tra Libia e Italia, e sono state scambiate visioni e strategie sul contrasto al fenomeno dell’immigrazione irregolare come fenomeno che a carattere non solo nazionale, ma regione e internazionale”. Emad Trebelsi, da parte sua, avrebbe “espresso la profondità del rapporto libico-italiano, passando in rassegna i piani di sicurezza relativi al fascicolo dell’immigrazione clandestina e le ricadute che ne derivano, illustrandone obiettivi ed elementi, oltre a sottolineare la formazione di un comitato che lavori per attuare gli assi di questo piano, secondo il ministero libico”. Al termine dell’incontro sarebbe stato concordato di formare una squadra simile da parte italiana in preparazione allo svolgimento di un incontro tecnico tra le due parti che rafforzerebbe la cooperazione congiunta e attiverebbe il lavoro bilaterale tra i due Paesi. Peccato che gli analisti, al nome di Emad Trebelsi, abbiano avuto un sussulto.
Gli esperti Onu hanno relazionato sulle attività pregresse dell’attuale ministro degli Interni di Tripoli: aveva imposto “un tariffario per i transiti sul suo territorio dai quali lucrava 3600 dollari per ogni autocisterna di prodotti petroliferi contrabbandati attraverso i posti di blocco sotto il suo controllo nel nord-ovest della Libia”, si legge nel documento. Quando Trebelsi, allora sceriffo locale, ricevette un primo incarico di governo, diventando sottosegretario agli Interni, il capo della Commissione nazionale per i diritti umani in Libia (Nchrl), Ahmed Hamza, protestò con il premier Dbeibah affermando che l’uomo dei clan di Zintan «è uno dei peggiori violatori dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale in Libia». Il suo nome ricorre in più blacklist, inclusa una un po’ datata – ma di fonte Cia – che ricorda come fino a qualche anno fa le milizie ribelli venivano associate a Al Qaeda nelle aree periferiche meridionali della Libia. Un impresentabile, si direbbe alle nostre latitudini. Ma non per il Viminale. Senza incontrarlo, e senza farsi fotografare, anche il capo della Cia, William Joseph Burns, era ieri in visita a Tripoli. Nella capitale ha incontrato il premier Dbeibah e poi Haftar a Bengasi. In previsione di una possibile “criticità forte” in Russia, che potrebbe determinare lo stop del gas, la Libia e il Nord Africa tornano essenziali.