Il caso
L’incredibile storia del magistrato Nicola Russo, sbattuto in prima pagina ma è un omonimo

Ha lo stesso nome e cognome e fa lo stesso lavoro del protagonista di una vicenda giudiziaria che da quasi tre anni è all’attenzione della cronaca e dell’opinione pubblica. Coincidenza, si direbbe, se non fosse che a causa di questa omonimia Nicola Russo, magistrato stabiese in servizio alla Corte di Appello di Napoli, si ritrova la propria foto affiancata agli articoli che parlano di Nicola Russo magistrato (ora sospeso) del Consiglio di Stato, indagato e da pochi giorni condannato per corruzione in atti giudiziari. E da quasi tre anni, Nicola Russo, giudice della Corte di Appello di Napoli, deve giustificare l’equivoco non tanto con chi lo frequenta da sempre ma con chi lo conosce poco o da poco tempo, con chi incontra per lavoro o per motivi istituzionali. Da quasi tre anni vive una situazione kafkiana.
Ha scritto alle redazioni dei giornali, dei tg e dei siti web che sono incorsi nell’errore, il problema è che lo fa da quasi tre anni e ancora ci sono testate che ripetono l’errore. «Possibile?», si chiede. «Ci sono giornali che hanno fatto la rettifica ma è evidente che questa non è servita nemmeno a loro visto che hanno ripetuto l’errore». Per non parlare del web, dove ci sono diversi link con la foto sbagliata. «Tra l’altro hanno scelto una mia foto con la scritta Libera sullo sfondo. È una foto scattata durante una giornata in memoria delle vittime delle mafie a cui ho partecipato. Sono attivista di Libera da quando è nata. Vedere quell’immagine usata per errore è tra le cose che fa più male a me e fa male a Libera», racconta.
In magistratura al 1997, Russo ha svolto tutti i ruoli della funzione penale di giudice. Nel corso della sua carriera si è occupato di processi delicati, come quello che vedeva coinvolti Silvio Berlusconi e Walter Lavitola per la vicenda legata alla compravendita di senatori, e di processi su criminalità organizzata e narcotraffico tanto da essere consulente della Commissione parlamentare Antimafia e aver svolto missioni all’estero, soprattutto in Sudamerica, per spiegare l’organizzazione delle nostre mafie e collaborare alla creazione di modelli legislativi antimafia. Per quattro anni ha fatto parte del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura, occupandosi della formazione di magistrati provenienti da tutta Italia. «Svolgo una funzione pubblica, inizio seriamente a preoccuparmi per le tante volte che questo errore è capitato. Non mi interessa accumulare risarcimento ma è un meccanismo che devo fermare», dice il giudice Russo spiegando il motivo che lo ha spinto a difendersi legalmente e denunciare il caso al Garante della privacy.
«Io – osserva – ho gli strumenti culturali e giuridici per difendermi ma chi non li ha come fa? Il web ti schiaccia». In questi anni sono stati tanti gli imbarazzi e disagi causati da questo errore: «Addirittura – aggiunge – mi sono arrivate per due volte notifiche di atti di citazione da parte delle società che ritenevano di aver subito le sentenze manipolate dal giudice sotto accusa e ho dovuto mandare comunicazione alle cancellerie, altrimenti rischiavo di essere coinvolto anche nelle cause civili». I ricordi sono ancora più amari quando si affrontano i risvolti più personali: «Una volta inviarono sul cellulare dei miei figli un messaggio con la pagina del giornale che pubblicava la mia foto accanto all’articolo sull’altro Nicola Russo. Non si può continuare così».
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