Oggi, a Strasburgo il Parlamento Ue in seduta plenaria affronterà la complessa situazione di una filiera portante della nostra economia. I numeri di Eurofer sono implacabili. La produzione di acciaio grezzo europeo, nel 2023, si è ridotta a 126 milioni di tonnellate, 56 milioni di tonnellate in meno rispetto al 2008. La domanda, nel 2023 sul 2022, è calata del 5,2%.

È vero, per quest’anno si prevede un’inversione di tendenza, +7,6%. Ma, dopo quattro anni consecutivi con il segno meno, il recupero dalla recessione in corso è ancora lontano. Lo scenario è aggravato dalla Cina che guadagna lunghezze a ogni trimestre. Da Pechino importiamo acciaio a basso costo e ben lontano dagli standard di sostenibilità che invece pretendiamo dal nostro. Peccato, perché tutta la siderurgia ha fatto della transizione ecologica uno strumento di competitività. Le buone pratiche sono ben avviate nel processo di produzione, quanto anche nel prodotto finale, generato sempre più spesso da materia prima secondaria. In entrambi i casi, l’Italia sta diventando un modello per tutta l’Ue. La decarbonizzazione attuata mediante il ricorso all’idrogeno e l’elettrificazione dei forni trova, rispettivamente, nel Gruppo Marcegaglia e in Feralpi Siderurgica due modelli che nulla hanno da invidiare con quanto implementato in mercati concorrenti. Austria, Germania e Svezia per prime.

Ma forse contano ancora di più i risultati virtuosi in fatto di prodotto. Secondo Ricrea, il consorzio del sistema Conai per il riciclo degli imballaggi in acciaio, l’Italia è leader nel riciclo del packaging in acciaio: l’87% contro la media Ue dell’80%. Il dato dimostra come, in uno scenario di forte carenza di materia prima, il rottame si dimostra essere una vera e propria miniera a cielo aperto. Su questo il Paese avrebbe dovuto ragionare in modo più strategico, due anni e passa fa, al momento dell’attacco russo all’acciaieria di Mariupol, in Ucraina. Invece che farsi prendere dal panico e temere uno shortage che poi si è rivelato privo di consistenza, sarebbe risultato lungimirante incentivare ulteriormente il ricorso al rottame, per accelerare la circolarità delle imprese, da un lato, e aumentare la quota di neutralità di approvvigionamenti, dall’altro. Così non è stato.

Del resto, il nostro primato europeo in fatto di riciclo è già positivo. Soprattutto perché va in controtendenza con lo scenario emerso dall’ultimo rapporto Asvis “Coltivare il nostro futuro”, che descrive un’Italia indietro “in maniera drammatica” nell’attuazione di quasi tutti i 17 Sustainable Development Goals 2030. Anzi, in fatto di povertà e disuguaglianze, si sta perfino facendo retromarcia. Al contrario, solo per quanto riguarda l’economia circolare, l’impegno della nostra industria sta portando a risultati virtuosi. Bene. Ma chi lo sa? La sensibilità dell’opinione pubblica nei riguardi delle politiche green attuate negli stabilimenti è spesso bassa. In parte è comprensibile. Una cosa è comunicare in modo generalistico – e suggestivo – che un pacco di pasta, o un paio di scarpe sono stati realizzati secondo criteri dall’impatto ambientale ridotto. Un’altra è dirlo per un coil d’acciaio o un pane di ghisa. Su come è percepita la transizione ecologica della siderurgia, l’indagine condotta da Ipsos-Symbola dice che “il 47% ritiene che le aziende della metallurgia-acciaio potrebbero fare di più in ambito di sostenibilità, tuttavia il 34% riconosce che c’è uno sforzo del settore in questa direzione”.

Il bicchiere è soltanto mezzo pieno, quindi. E rischia pure di versarsi. Perché l’economia circolare fa tanto, ma non basta. Né per colmare il gap di materia prima, né per contenere la crisi del settore. Eurofer, l’associazione europea delle acciaierie, ha già lanciato l’allarme al Consiglio europeo della scorsa settimana. Ora l’appello è rivolto al Parlamento. La maggiore preoccupazione viene dall’acciaio cinese, mai così tanto presente sui nostri mercati come oggi. Le misure per contrastare quello che di fatto è un dumping ci sono, ma hanno le maglie larghe. Il Cbam, in particolare, il meccanismo di controllo alle frontiere Ue dei prodotti ad alta emissione di carbonio, entrerà in vigore nel 2026. Mentre i nostri dazi non sono così severi come quelli imposti dagli Usa. Senza un piano d’azione per l’acciaio, rientrante nel “Clean Industrial Deal” l’iniziativa Ue volta ad accelerare il processo di zero net emission, c’è il rischio, per contenere i costi, le acciaierie interrompano per prima cosa la loro transizione in corso.