“La libertà è l’essenza dell’uomo, che la possiede nella sua qualità di uomo” scriveva don Benedetto Croce, coniando forse una delle più belle definizioni sulla libertà e sul legame stretto, indissolubile, tra uomo e libertà. Un rapporto che permane se per libertà si intende quella dell’individuo in quanto tale, ma vacilla se invece ci soffermiamo sulla declinazione dell’esercizio di libertà. Qui allo stato dell’arte abbiamo poco di cui gioire. Le nuove influenze culturali, l’ondata di “wokismo” e “politicamente corretto” hanno indebolito e minato la libertà nella sua espressione immediata e più autentica, quella di manifestare liberamente il proprio pensiero, la libertà di parola.

Siamo oggi veramente liberi? Possiamo affermare senza il rischio di essere smentiti che i tempi in cui viviamo sono tempi di libertà? La risposta è evidentemente no. Da anni ormai assistiamo quotidianamente a guerre ideologiche provenienti dalle frange più radicali della cultura americana, che in nome e per conto di un processo di revisione della cultura occidentale, accusata di essere “razzista” e “suprematista” per di più edificata su un impianto culturale di tipo “coloniale”, ha intrapreso un’opera di decostruzione e censura. Sul banco degli imputati sono finite opere letterarie, saggi filosofici, discorsi pronunciati nel corso dei secoli, contenenti a detta dei nuovi censori, parole discriminanti che devono essere cancellate, e sostituite, da termini di nuovo conio, più inclusivi.

Al nuovo indice del politicamente corretto non sono scampati neanche i grandi capolavori del cinema, quelli della Hollywood dell’età dell’oro, contenenti messaggi definiti “controversi”, o in cui vengono utilizzati termini contrari alla nuova morale del linguaggio. Si è così creato un tribunale del linguaggio che ha finito inevitabilmente per limitare e censurare quella stessa libertà un tempo faro inalienabile della conquista dei diritti. Ma i nuovi diritti o supposti tali applicano canoni intransigenti e moralizzatori del linguaggio che applicandosi in forma retroattiva, finiscono per falsarne la realtà, e applicati all’oggi assumono le fattezze stesse della polizia morale.

Su questa emergenza del nostro tempo arriva in libreria un interessante quanto innovativo saggio scritto a quattro mani da Michel Dessì e Andrea Indini, “Liberi di parlare, Glossario contro il politicamente corretto” (Historica – Giubilei Regnani), uno strumento essenziale per capire il tempo in cui viviamo e per dribblare il fossato del linguaggio politicamente corretto, per riscoprire la libertà di utilizzare termini e parole che ogni giorno abbandoniamo per timore e paura di essere giudicati, e di finire sotto la lente dei censori. Perché questa minaccia alla libertà non riguarda i noti, gli intellettuali, i giornalisti, o i politici, certamente più esposti, ma le persone comuni che nel loro piccolo per l’utilizzo di un termine potrebbero persino rischiare il loro posto di lavoro.

Non stiamo esagerando, si tratta di una realtà in atto oltreoceano e che pian piano inizia ad attraversare l’oceano. Come scrive Daniele Capezzone nella prefazione “teniamo in tasca un solo attrezzo, cioè la libertà”, e per ricordarcene anche questa perla formato tascabile che parola per parola smonta il falso-mito su cui poggia la narrazione politicamente corretta.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.