Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, avrebbe potuto apportare qualche correzione, qualche precisazione, al suo proclama sulla “indispensabilità” e “insostituibilità” dell’Unrwa – l’agenzia delle Nazioni Unite per il sussidio dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente.
Nella conferenza stampa dell’altra sera, dedicata con enfasi commovente all’elogio di quella agenzia, Guterres ha ritenuto di non spendere neppure una parola, nemmeno di circostanza, a proposito dei casi di connivenza e complicità documentati a carico di gente che frequentava e aiutava i macellai del 7 ottobre mentre incassava lo stipendio dell’Onu, pagato con le tasse dei cittadini. Senza rinunciare a difenderne il complessivo operato, Guterres avrebbe potuto ammettere che l’Unrwa ha avuto qualche serio problema di trasparenza e qualche non lieve difetto di gestione se vi razzolano indisturbati fior di criminali.

Il segretario generale avrebbe potuto usare quell’occasione di comizio per spiegare che il video in cui un dipendente dell’Unrwa carica un israeliano nel bagagliaio del proprio fuoristrada, portandoselo cadavere a Gaza, non solo rappresenta un’onta per l’immagine dell’organizzazione che mantiene nei propri ranghi quella belva, ma obbliga i vertici a chiedere scusa e a promettere che controlleranno meglio il personale che assoldano. Ancora, durante la sua requisitoria contro Israele che, con la tradizionale malvagità, vuole mettere i bastoni tra le ruote del carro onusiano in Terra Santa, Guterres avrebbe potuto, almeno tra parentesi, far sapere che sta facendo qualcosa a proposito dei sospetti circa il coinvolgimento dell’Unrwa in attività di riciclaggio per il finanziamento di Hamas. Qualcosa di fattivo, per la chiarezza che si deve su un’ipotesi tanto grave. Qualcosa che non sia affidarsi agli avvocati che rivendicano l’immunità per i vertici dell’organizzazione, com’è successo in una causa intentata dai parenti delle vittime del 7 ottobre.

Urwa, dirigenti a mezzo servizio

Non c’è nulla di male, anzi, nel reclamare che una grande organizzazione della cooperazione internazionale non sia travolta solo perché alcuni di quelli che ne fanno parte si sono resi responsabili di malefatte o, come nel caso dell’Urwa, di delitti atroci. Ma c’è molto di male nell’atteggiamento, anzi nella pratica, che liquida la faccenda al rango dell’inadempimento bagatellare che riguarda “poche mele marce” e pone il dossier nella cartelletta “passata la festa, gabbato lo santo”. Quando hai dirigenti che stanno a mezzo servizio da te e per il resto nei tunnel di Gaza a pianificare incursioni terroristiche; quando gli edifici di tua proprietà sono sistematicamente adibiti a depositi di armi; quando nelle scuole che dovresti amministrare insegnano i docenti reclutati dai dirigenti di Hamas, trasformando le classi degli alunni in allevamenti di terroristi; quando l’energia elettrica dei tuoi locali sotterranei alimenta i server di Hamas che raccolgono e ordinano i dati per comporre le mappe dei kibbutz da assaltare; insomma quando emerge che una preoccupante vicenda di connivenze, complicità, inadeguatezze investe in quel modo la credibilità della tua organizzazione, ebbene prima di cantarne l’insostituibilità pieghi la schiena e prometti di fare pulizia in casa.

Soprattutto, non fai finta che i dubbi, le denunce, le attività di contestazione provengano esclusivamente dall’Entità Sionista, specie a pochi giorni di distanza dalla notizia che una democrazia parlamentare non propriamente sperduta, la Svizzera, ha denunciato in una recente mozione che l’attività dell’Unrwa “apre le porte alla corruzione e al dirottamento delle risorse verso le organizzazioni terroristiche”.
È comprensibile che il Segretario Generale delle Nazioni Unite non sia predisposto a fare quei riconoscimenti e ad assumere quegli impegni. Si tratta dello stesso che, giusto qualche settimana fa, quando l’esercito israeliano conduceva un’operazione che suscitava il solito scandalo, deplorava che tra le vittime ci fossero “sei dei nostri colleghi dell’Unrwa”. Erano anche colleghi di Sinwar, ma la cosa non turbava Antonio Guterres.