Il New York Times ha appena dedicato un lungo articolo a Liliana Segre, come donna, come senatrice, come sopravvissuta all’Olocausto, e come lo straordinario personaggio, quale è. Una donna che ha speso almeno trent’anni della sua vita per conservare e tramandare la memoria perché mai più si ripetano gli orrori di cui sono state vittime, insieme a lei e la sua famiglia, milioni di persone.

Segre il 27 gennaio scorso, nel Giorno della Memoria, ha ricevuto un’altra laurea ad honorem, questa volta alla Statale di Milano, in Scienze Storiche. E mentre le veniva conferito questo importante titolo, fuori dalle aule universitarie c’era la solita protesta, apparentemente pro-Palestina, ma realmente anti-semita. Quello dell’antisemitismo è uno dei temi che Segre discute con il New York Times quando si chiede se è vissuta invano, se ha buttato via anni di vita e di dolore, se le sue battaglie culturali e le sue denunce non sono servite a nulla. Queste domande, nel clima odierno, sono tutt’altro che retoriche. Segre cita il brutale attacco terroristico del 7 ottobre, parla della disperazione che l’assale a vedere la massiccia reazione militare di Israele contro Gaza, e dice della strumentalizzazione del conflitto con lo scopo di fomentare sentimenti antisemiti mal celati dietro l’appoggio alla Palestina. Menziona anche la guerra in Ucraina, chiedendosi se Putin non sia un altro Hitler.

Tutte affermazioni che, dette da lei, assumono una pienezza e una potenza straordinarie. Lei sa quello che dice. E sa cosa vuol dire. Quando lo sguardo della senatrice si rivolge all’Italia, Segre non può non stigmatizzare l’episodio di Acca Larentia, non può non vedere nel dramma dei migranti di oggi delle analogie con le sue sofferenze passate, e non può non sottolineare la matrice politica della premier Meloni, che ha pubblicamente condannato le leggi razziali e l’Olocausto, ma che da quell’humus politico e culturale deriva. E nel fare queste considerazioni, Segre si chiede financo se non le sia capitato di essere vissuta già troppo a lungo, tanto da essere condannata a vedere la storia che si ripete, come in un ciclo vichiano.

Che il giornale statunitense dedichi un articolo a Segre e lo faccia di questi tempi non appare scontato. Oltre al riconoscimento internazionale di una donna italiana e della sua storia, il pezzo su Segre costituisce una sorta di presa di posizione in un dibattito molto infuocato e divisivo per il quale il prestigioso quotidiano è stato anche tacciato di cerchiobottismo.

Il tema, infatti, non è tanto e solo quello dell’Olocausto quanto quello che riguarda la guerra (le guerre!) e l’antisemitismo. Così sembrano aver letto l’articolo i tanti lettori che hanno lasciato un commento (299 a sole poche ore dalla pubblicazione). C’è chi incoraggia Segre dicendole che la sua vita non è stata certo spesa invano e perfino chi scrive da Sant’Anna di Stazzema e cita una conversazione con un sopravvissuto (in cui credo di riconoscere Ennio Mancini) che, bambino, era stato prima catturato e poi miracolosamente graziato da un giovanissimo soldato tedesco. Ma molti dei commenti tracciano un filo rosso tra l’anti-semitismo di allora e i pericoli odierni, tra le dittature degli anni Trenta e le insidie alla democrazia che sembrano profilarsi anche all’orizzonte del mondo occidentale oggi. Tutti segnali che forse il pessimismo di Segre e l’idea del fatto che non abbiamo imparato nulla dalla storia sono preoccupazioni ben riposte.

Ma forse proprio per questo è importante continuare a parlarne, come fa il New York Times con questo bell’articolo. Per fortuna il New York Times non ha pensato di mettere nella stessa pagina un trafiletto sulla condotta internazionale della premier Meloni che, nelle stesse ore, all’inaugurazione del vertice coi Paesi Africani, ha salutato Moussa Faki (ex-presidente del Chad e ora presidente dell’African Union Commission), con una infelice battuta (meglio dicasi una battuta coatta), al solo beneficio di un’Italietta piccola, piccola che se ne ride. Rallegriamoci e inorgogliamoci di avere una Liliana Segre che ci rappresenta e che ci protegge da Meloni.