La chiamata veniva dall’hotel Plaza di Roma e il centralinista mi passò il presidente georgiano Michail Saakashvili che in inglese mi chiese di incontrarlo. Venti minuti dopo mi venne incontro nella hall, mi abbracciò dicendo di essere tanto grato quanto scandalizzato perché soltanto io – membro del Parlamento, ex Presidente di una commissione d’inchiesta sul Kgb in Italia e giornalista – ero stato il solo ad insorgere con tutto il clamore possibile per l’esplicito appoggio che il capo del governo italiano Silvio Berlusconi aveva espresso a Vladimir Putin. “Siete pazzi, mi chiese furioso Michail? Se lasciate che accada oggi questo alla Georgia, domani sarà il turno della Moldova, dell’Ucraina, e poi della Polonia. Perché soltanto lei si è fatto sentire?”. Ero vicesegretario del piccolo Partito liberale e Michail venne ai nostri microfoni per protestare contro l’ignavia dell’Occidente, la complicità dell’Europa, l’inerzia dell’America.

L’invasione della Georgia dell’uomo dolcissimo…

Io avevo tempestato Parlamento, agenzie di stampa e internet di dichiarazioni veementi contro lo scandaloso atteggiamento di accomodante complicità sia di destra che di sinistra. La mia indignazione fu considerata una ineducata esagerazione e fu convenuto dai commentatori politici che l’unica vittima di quella guerra fosse il Presidente del Consiglio Berlusconi scompostamente aggredito dalla mia indignazione. Berlusconi, con cui il legame personale restò malconcio ma vivo, mi telefonò: Posso sapere che cosa ti ho fatto?”. Risposi: “Stai coprendo col tuo governo la prima aggressione fra paesi europei dopo quella di Hitler in Polonia e giustificando un nemico dell’Occidente e un assassino”. Rispose: Credimi Paolo, Vladimir è un uomo dolcissimo che non farebbe male a nessuno”.

Ciò che aveva indignato solo me e su cui tutti chiusero occhi e orecchie era avvenuto alla fine di una riunione dei gruppi nella Sala del Mappamondo a Montecitorio, quando Berlusconi aveva dichiarato davanti ai suoi deputati e senatori disse: “Il mio amico Putin ha detto che entro poche settimane inchioderà ad un albero le palle del Presidente georgiano Michail Saakashvili”. Testuale. Io uscii, nessuno fiatò e non solo fra i berlusconiani: tutta la sinistra italiana, una volta pagata la tassa della generica condanna, si limitò a bofonchiare. E l’Italia approvò. Fu allora che la mia vita di giornalista e parlamentare si divisero. Era successo sotto gli occhi di tutti ma sembrava che soltanto due o tre persone avessero visto: era il primo atto della lunga guerra putiniana cominciata contro falsi terroristi ceceni, rivendicazione dei confini russi raggiunti da Caterina la Grande e poi da Josef Stalin.

Fu così che nell’agosto del 2008 dette ordine alle sue truppe di varcare i confini dello Stato indipendente della Georgia. Era la prima volta. La seconda sarebbe stata l’Ucraina. Nel momento dell’invasione ero in vacanza con i miei bambini a Long Island e ci incontrammo alla Camera, tutti i membri delle Commissioni Esteri e Difesa. Ci fu una sbandierata di innocua riprovazione e auguri per una “soluzione pacifica”: che il lupo divorasse l’agnello senza troppe rotture di coglioni. Fu una scena di disfatta nel Parlamento della Repubblica. Ricordo un fiero discorso di Pierferdinando Casini, ma lo stesso Casini riconobbe che fu un’occasione persa. Oggi Michail Saakashvili è considerato in Georgia l’eroe e il martire dell’indipendenza georgiana dopo il tentativo, respinto a furor di popolo, di avallare i brogli e violenze del partito filorusso di cui l’Unione europea e le Nazioni Unite hanno raccolto una sterminata quantità di video.

Il fidanzamento politico tra Berlusconi e Putin

Ero stato Presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sullo spionaggio sovietico durante la guerra fredda, che aveva mandato in bestia Putin. L‘avevano voluta tutti, comunisti e anticomunisti, ma nel 2002 con il famoso incontro di Pratica di Mare, Berlusconi e Putin si erano politicamente fidanzati e la commissione era stata attaccata con tutte le armi della propaganda e con gli omicidi di tre mie fonti russe: il generale Anatolij Trofimov, un tenente colonnello che informava a Londra l’esule Alexander Litvinenko, che informava la Commissione. Putin lo fece avvelenare con l’isotopo radioattivo del Polonio, lo stesso che aveva ucciso Madame Curie, premio Nobel polacca per la chimica. Eravamo ancora pochi in grado di capire progetti e misfatti dell’uomo scelto dal Presidente russo Boris Yeltsin per essere protetto dai tentativi di ucciderlo. La sentenza inglese che dichiara Putin mandante dell’omicidio di Alexander Litvinenko è stata emessa dal Procuratore generale della Regina Sir Robert Owen e io fui chiamato per due giorni a testimoniare negli uffici di Scotland Yard a Londra.

Putin e il trattamento riservato ai suoi oppositori

Michail Saakashvili è in queste ore considerato l’ispiratore del coraggio con cui i georgiani avevano resistito all’ultimo tentativo russo di impedire alla Georgia di andare verso l’Unione europea. Michail aveva chiesto disperatamente aiuto alle democrazie europee trovando fastidio e sordità. Nel 2008 Putin aveva armato l’Ossezia (regione della Georgia) che reclamava l’indipendenza. I russi si presero a mano armata l’Ossezia e l’Abkhazia come farà poi nel 2014 con la penisola di Crimea, il Donbass e altri oggetti del suo feroce amore. Michail dovette rifugiarsi in Ucraina. Ma i russi lo attirarono nella capitale Tbilisi, per un evento patriottico e lo arrestarono. Stesso stile usato con Navalny, il cui aereo decollato dalla Germania dove era stato curato per avvelenamento, fu fatto atterrare in Russia e poi sbattuto in Siberia e poi ucciso con un pugno sul petto dopo una notte a trenta gradi sottozero. Michail Saakashvili è in condizioni gravissime per una forma più unica che rara di cancro.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.