Parola al filosofo
“L’Italia è in guerra, siamo succubi della Nato”, intervista a Massimo Cacciari
Il passato che non passa e che prova malamente a mascherare la miseria, politica e culturale, del presente. Mentre l’Europa fa karakiri sulla guerra. La parola a Massimo Cacciari.
25 Aprile 2023. Tra un revisionismo imperante e il richiamo ai valori della resistenza. Che segno ha questa giornata, qui e ora, professor Cacciari?
Il senso di un’occasione perduta. Perché ciò che sarebbe stato davvero importante era “usare” questa ricorrenza con la necessaria misura per fare, soprattutto ai giovani, un discorso storico.
Invece?
Invece è del tutto evidente che da una parte c’è ancora una, più o meno mascherata e velata, nostalgia patetica. Questo vuol dire non aver fatto i conti con le proprie sconfitte, con i propri errori. Vivere in un mondo completamente idiota, nel senso etimologico del termine. E dall’altra parte c’è un uso dell’antifascismo per coprire le totali assenze strategiche, politiche, organizzative che sono andate sempre più evidenziandosi nel corso dell’ultima generazione. Gli uni insistono sul fascismo/antifascismo per coprire le proprie deficienze, e dall’altra parte c’è qualche idiota che continua a pensare che il significato del fascismo possa avere ancora un qualche valore.
E’ un paese, l’Italia che guarda sempre all’indietro senza mai provare un investimento sul futuro?
Gli uni non riescono a declinare un proprio futuro e dunque si aggrappano a queste vecchie formule che cercano di definire qualcosa dicendosi antifascisti. E dall’altra parte purtroppo in questo paese vi sono ancora delle forze politiche, ora addirittura al governo, che ritengono che ci sia qualcosa da salvare di quel passato.
E c’è chi evoca o invoca la separazione etnica…
Qui non si tratta di becero nostalgismo fascista. Dietro certe sparate vi sono componenti razzistiche che esistono in tutte le culture politiche. Certo, il razzismo è un elemento fondamentale del nazismo e a un certo punto divenne tale anche nel fascismo, una componente che all’inizio non c’era. Ci sarebbe da riflettere seriamente sulle differenziazioni da fare tra la storia italiana, quella tedesca, quella di altri paesi europei. Cosa che non si fa perché non si usa mai questa ricorrenza per far capire qualcosa ai giovani. Ci sono elementi nazionalisti, razzisti che non puoi attribuire al fascismo in quanto tale. Nella storia europea questi elementi sono anche presenti in molte componenti di destra che con il fascismo non hanno niente a che vedere. Se vogliamo parlare propriamente. Se invece fascismo è una categoria acchiappatutto, allora lasciamo proprio perdere. Si fa finta di litigare su fascismo-antifascismo, per non parlare delle cose che contano, di ciò che ci preme. Non sapendo come affrontarlo, ritornano fuori queste categorie di comodo, con le quali puoi pensare di demonizzare il tuo nemico, come faceva Berlusconi con il comunismo, e come c’è chi a sinistra cerca di fare con il fascismo. Dopodiché ci sono ancora alcuni che sono ancora fascisti, come in Germania ci sono ancora dei nazisti. In Italia esistono ancora suggestioni che riguardano una certa tradizione fascista, soprattutto quella rivolta alla Repubblica sociale, al fascismo sociale, anti-monarchico. Quel fascismo lì. Ma anche qui, cosa vuoi discutere. Ci sono i libri di storia che hanno spiegato tutto. Con quello che gli storici hanno spiegato questo dibattito non c’entra niente. E’ un dibattito del tutto politicistico e strumentale.
A proposito di dibattito strumentale e, mediaticamente a senso unico o quasi. La guerra.
Sulla guerra se non si decide di operare per farla cessare, continuerà fino a quando non si sa, nessuno lo può dire. Ormai anche la grande stampa occidentale la segue come si segue un campionato. Si va avanti, si combatte, alla fine qualche esito ci sarà. Se non si opera in nessun modo per farla finire, è ovvio che continui, fino alla morte di uno dei contendenti o alla morte di tutti. Non c’è nessun intervento per medicare la ferita. E quindi continuerà a sanguinare fino a che qualcuno crepa. Quanto alla Russia, resto convinto che se vuole salvarsi, deve accettare le posizioni iniziali di Zelensky, quelle con cui ha vinto le elezioni: autonomia della Crimea, una soluzione del Donbass tipo quella del Trentino Alto Adige, cioè provincia autonoma in Ucraina e infine una trattativa per la collocazione politico-militare dell’Ucraina che non comporti l’installazione di basi strategiche nucleari della Nato nel territorio ucraino. Queste posizioni iniziali di Zelensky sono state in parte stravolte dal fatto che lui è stato costretto a fare il governo con alcune componenti politiche dell’Ucraina totalmente aliene a ogni idea di trattato di pace con la Russia. Si può tornare a quelle posizioni, ma soltanto se la Russia riconosce l’errore strategico commesso. E forse questo è possibile solo con un cambio di leadership in Russia. Mi pare che su questo puntino americani e Nato.
Professor Cacciari, perché chi parla o agisce per dare la parola ai cittadini-elettori sull’invio di armi all’Ucraina, magari con un referendum, viene demonizzato?
Perché? Perché c’è ormai un atteggiamento totalmente succube delle diplomazie e delle politiche occidentali nei confronti della Nato e degli Stati Uniti. C’è una data che segna l’inizio di questa egemonia…
Qual è questa data?
L’11 settembre 2001, con l’attacco alle Torri Gemelle. Da quella risposta americana, e dai fenomeni di terrorismo planetario che ha generato. Da quel momento l’Occidente si è schierato con la sua capitale. Quella capitale era anche precedente, ma quell’attacco ha fatto sì che lo schierarsi con la capitale diventasse qualcosa di totale, globale, a differenza di quello che era stato in tutto il secondo dopoguerra. Anche all’ombra della Guerra fredda, gli altri Stati occidentali avevano una effettiva autonomia. Basta pensare come le diplomazie di altri Stati europei hanno seguito altri momenti di conflitto, dalla drammatica crisi dei missili a Cuba con l’Urss, al Vietnam. Basta pensare anche alla politica estera italiana nel Mediterraneo, in Medio Oriente, nei confronti del conflitto israelo-palestinese . Vi erano margini di autonomia che via via sono andati scomparendo.
Dentro questa scomparsa c’è anche quella dell’Europa?
Totale. L’Europa ormai è totalmente afona in politica estera. Non ha nessuna linea, non ha nessuna ostpolitik, non ha nessuna politica mediorientale, nessuna politica mediterranea. Quale ruolo potrebbe giocare sui grandi conflitti internazionali, primo fra tutti quello americano-cinese. Non si tratta di un dibattito astratto, per storici o addetti ai lavori. Si tratta di qualcosa di maledettamente concreto, vitale nel senso più pieno del termine. Non si tratta di continuare a concionare su chi è l’aggredito e chi l’aggressore nella guerra d’Ucraina. Su questo non c’è discussione. Ma la discussione dovrebbe esserci, ma viene oscurata, silenziata, sul fatto che l’Italia è in guerra. L’Europa è in guerra. Lo siamo perché a dichiarare guerra all’aggressore russo, che con questa folle azione si è suicidato, è la Nato. E qui torniamo all’obbedienza assoluta alla “capitale”. Per mettere fuori legge la guerra sarebbe necessario che uno Stato anzi, ogni Stato, assumesse nella Costituzione la necessità, non l’opzione, di perseguire ogni forma di dialogo, escludendo la guerra, nella risoluzione dei problemi. E questo sarebbe il primo passo. E dovrebbe farlo anche l’Europa, che al momento non è una casa comune. Casa comune che va costruita sui principi dei padri fondatori: solidarietà e sussidiarietà. Solo così potranno nascere gli Stati Uniti d’Europa, ma soprattutto quel soggetto politico unico e che potrebbe esercitare un ruolo di mediatore in una situazione come il conflitto ucraino. Ma qui so di sconfinare nel regno dell’utopia. Quanto mai necessaria, ma tale resta, purtroppo. E in questa situazione non possiamo escludere una prospettiva apocalittica.
In questo scenario, un pensiero critico ha ancora diritto di cittadinanza?
Se c’è ancora chi si sforza di esercitarlo. Questa è responsabilità di ciascuno di noi, dall’ultimo al primo. Ci sono giornali, stampa, televisioni che vanno tutti praticamente in un solo senso, però nessuno ti viene a casa e ti mette in galera se pensi e dici cose diverse. Tutto sommato, quel principio illuminista della libertà del pensiero nelle nostre comunità ancora sussiste. Dopodiché è chiaro che un pensiero critico fatichi sempre di più a comunicarlo, perché mancano le sedi, mancano i partiti, manca un po’ tutto per rendere pubblico un pensiero critico. Tuttavia c’è la responsabilità individuale e quella non te la toglie nessuno, cosa che non è avvenuta, del tutto, neanche durante il nazismo o il fascismo. Quel pensiero è continuato a vivere. Per merito di una minoranza, ieri come oggi.
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