Cazzolate
Giustizia
L’Italia in scacco da settori deviati della magistratura. La stortura più grande è nel procedimento di prevenzione
Dopo aver “messo a posto” Elon Musk sui temi della giustizia, Sergio Mattarella ha colto l’occasione di un incontro con tanti giovani per impartire una lezione di diritto costituzionale. Quindi ha affrontato il tema del bilanciamento dei poteri all’interno dello Stato.
“Essere arbitro significa sollecitare al rispetto delle regole tutti gli altri organi costituzionali dello Stato e significa ricordare a tutti i limiti delle proprie attribuzioni e delle sfere in cui operano. Vale per il potere esecutivo, legislativo, giudiziario. Ciascun potere e organo dello Stato deve sapere che ha limiti che deve rispettare, perché le funzioni di ciascuno non sono fortilizi contrapposti per strappare potere l’uno all’altro, ma elementi della Costituzione chiamati a collaborare, ciascuno con il suo compito e rispettando quello altrui. È il principio del check and balance”, ha spiegato.
Principio davanti al quale l’inquilino del Quirinale ha una funzione assimilabile a quella dell’arbitro delle partite, ha quindi aggiunto, usando un’espressione ben nota agli addetti ai lavori. “L’immagine del presidente della Repubblica come arbitro l’ho usata anche io, e ho detto che anche i giocatori devono aiutarlo nell’applicazione delle regole, la pluralità nell’aspetto delle regole è fondamentale”, ha ricordato però. Poi un’ulteriore precisazione: “Il presidente della Repubblica entra in attività quando il sistema si blocca, è come un meccanico, lavora per riparare un sistema inceppato”. Nel contesto di tali ragionamenti, il capo dello Stato è riuscito a prendere le distanze da alcune leggi nello stesso tempo in cui – a giustificazione – le aveva promulgate come adempimento a un atto dovuto. Dove sta il problema, allora?
La democrazia italiana bloccata
Il fatto è che il sistema è bloccato e nessun meccanico, dalle officine del Quirinale, è riuscito a ripararlo. La democrazia italiana – da almeno 30 anni – è tenuta in scacco da settori “deviati” della magistratura, i quali perseguono obiettivi di sovvertimento dei poteri istituzionali, spesso ai limiti del golpe. Per arrivare a queste conclusioni non c’è bisogno di attraversare l’Oceano; è sufficiente guardarsi attorno. Come risponde il presidente Mattarella a Sabino Cassese, già suo collega alla Consulta, quando afferma che le procure “oggi sono diventate il quarto potere dello Stato”? O quando un grande penalista come Filippo Sgubbi – nel saggio “Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi” edito da Il Mulino nel 2019 – denuncia che nei processi penali le prove non si limitano ad applicare il sillogismo classico dell’illiceità, confrontando il comportamento specifico dell’imputato con la norma di carattere generale, ma la ricerca – a strascico – verte anche sull’esistenza o meno dell’illiceità, ovvero di una norma che sanzioni quel comportamento. Se non c’è la si costruisce in vitro.
È il caso di incriminazioni non di origine legislativa ma giurisprudenziale, tra le quali spicca il cosiddetto concorso esterno nei reati associativi “ove l’imputato potrà apprendere solo dal dispositivo della sentenza – e quindi ex post – se la propria condotta rientra o meno in tale figura”. La “distorsione istituzionale” assume poi altri profili: “Il sequestro di aree, di immobili, di un’azienda o di un suo ramo, il sequestro di un impianto industriale e simili incide direttamente sui diritti dei terzi. Con tali provvedimenti cautelari reali – prosegue Sgubbi – la magistratura entra con frequenza nel merito delle scelte e delle attività imprenditoriali, censurandone la correttezza sulla base di parametri ampiamente discrezionali, talvolta del tutto arbitrari”. Partendo da queste considerazioni si arriva alle coraggiose denunce di Alessandro Barbano (L’inganno – Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene – Marsilio 2022). L’idea forza del libro sta nella critica di un sistema in cui al fianco di un diritto penale ordinario è operante un diritto penale speciale, emergenziale, consacrato al Santuario dell’Antimafia.
La stortura è insita nel “procedimento di prevenzione”, attraverso il quale si è venuta a creare una sorta di “manomorta” giudiziaria che distrugge ricchezza, posti di lavoro nelle attività economiche sequestrate e confiscate perché in odore di mafia, senza che le responsabilità siano state accertate in un processo. L’onere della prova è invertito: tocca alla vittima discolparsi della propria… innocenza.
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