L'impasse al Congresso
Lo psicodramma di Kevin McCarthy e dei Repubblicani USA: fumata nera anche nell’11esima votazione, partito ostaggio degli estremisti
Gli Stati Uniti restano ancora senza un Congresso funzionante e operativo. Le divisioni all’interno dei Repubblicani sul voto per Kevin McCarthy, candidato ufficiale del partito al ruolo di Speaker della Camera, non permettono infatti l’approvazione di regolamento, leggi o risoluzioni, ma anche il giuramento dei neo-eletti dopo le elezioni di Midterm, che non sono ancora formalmente in carica.
Tutta colpa della spaccatura all’interno del partito: McCarthy in ben 11 votazioni non ha ottenuto i voti necessari per l’elezione a Speaker. Un record clamoroso, che supera i nove voti che furono necessari nel 1923. Il prossimo tentativo si terrà a mezzogiorno ora di Washington, le 18 in Italia.
Dietro il flop della candidatura di McCarthy c’è il ‘no’ secco di una ventina di eletti ultra-conservatori del partito. A McCarthy basterebbero sulla carta 218 voti (sui 434 della Camera) e i Repubblicani possono contare su 222 seggi. Ma nelle 11 votazioni già avvenute il fedelissimo di Donald Trump si è fermato al massimo a 201 voti, superato addirittura dalla candidatura “di bandiera” del Democratico Hukeem Jeffries, al quale sono andati ancora una volta tutti e 212 i voti dei progressisti.
Dietro la bocciatura di McCarthy dalla ventina di ribelli repubblicani c’è un piccolo gruppo di estremisti di destra che hanno disobbedito anche al volere del loro stesso leader Donald Trump. L’ex presidente dopo la terza votazione andata a vuoto aveva chiesto compattezza ai membri del partito eletti alla Camera, spingendo per il voto su McCarthy con l’appello a “non trasformare un grande trionfo in una gigantesca e imbarazzante sconfitta”, ma i ribelli sono stati “più trumpiani di Trump”. “
Sul piatto ci sono le richieste sempre più ‘ricattatorie’ del Freedom Caucus, il movimento interno ai Repubblicani che rappresenta l’ala più ultraconservatrice. L’intenzione è quella di spingere il partito sempre più a destra: in cambio dell’appoggio a McCarthy tra le richieste vi sono poltrone chiave nelle Commissioni più importanti, l’impegno a non finanziare candidati moderati contro altri più conservatori nelle primarie repubblicane, una soglia di voti più bassa per “rovesciare” eventualmente lo Speaker.
Per superare l’impasse, McCarthy e il partito potrebbero effettivamente arrivare ad un accordo col gruppo ribelle, anche se uno dei suoi leader, il rappresentante della Florida Matt Gaetz, ha rimarcato che “o McCarthy si ritira o gli costruiremo una camicia di forza da cui non potrà scappare”.
Altra ipotesi è che i Repubblicani alla fine debbano ritirare la candidatura di McCarthy per puntare ad un nuovo nome. Non è chiaro però quale possa andare bene agli “irriducibili” e se qualcuno nel partito voglia rischiare la stessa figuraccia che ha fatto McCarthy in questi giorni caotici: non è detto neanche che Steve Scalise, il numero due di McCarthy, considerato la più probabile figura alternativa, sarebbe accettato dai ribelli.
Ultima ipotesi, quasi da fantapolitica, evoca un possibile accordo tra Repubblicani e Democratici su un nome comune, un esponente moderato del GOP votabile anche per i progressisti della Camera.
© Riproduzione riservata