Enzo La Penna è il decano dei cronisti di giudiziaria di Napoli. Dalla metà degli anni Ottanta per l’Ansa ha seguito i più importanti fatti di cronaca locali e nazionali, dal caso di Enzo Tortora al terrorismo delle Brigate Rosse, da Tangentopoli alle faide di camorra. È chiaro che conosce moltissimi segreti della città e della cittadella giudiziaria. Da qualche anno è in pensione e accetta di fare con il Riformista una riflessione sulla libertà di stampa, sulle querele temerarie, sui numeri raccolti dal Sindacato unitario dei giornalisti della Campania in base ai quali negli ultimi anni si è registrato un boom di minacce (da parte della criminalità organizzata) e di querele (spesso temerarie da parte di politici magistrati o utenti di turno) nei confronti dei giornalisti campani, soprattutto di quelli che fanno giornalismo di inchiesta su questioni spinose e centri di potere.

«Fermo restando che credo sia perfettamente legittimo e giusto rivolgersi alla giustizia se ci si sente diffamati e offesi nella propria onorabilità, penso che il fenomeno delle querele temerarie possa essere arginato solo se si fa come nei Paesi anglosassoni, cioè si fa in modo che chi fa una querela temeraria ne paghi poi il prezzo, per cui se il giornalista dimostra di aver scritto il vero, invece del giornalista a essere condannato è il querelante». Per La Penna occorre avere sempre il senso della misura: «Premesso che non si può avere la licenza di dire tutto e scrivere tutto, perché non si può confondere questo con la libertà di stampa e occorre sempre documentarsi, la questione delle querele temerarie è un tema che dev’essere affrontato».

La Penna pone l’attenzione su un aspetto peculiare del processo per diffamazione: «È un processo abnorme nel quale si verifica l’inversione dell’onere della prova: è l’accusato a dover provare di aver scritto il vero e di non aver commesso il reato. Questo, invece, è un compito che spetterebbe al pm. Spesso, infatti, pm e giudice mandano a giudizio il giornalista mutuando il capo di imputazione sul contenuto della querela pur avendo gli strumenti, molto più del giornalista, per verificare se i fatti sono veri. A volte il giornalista non ha la possibilità di accedere a certi atti o documenti, il pm invece questa possibilità ce l’ha, basterebbe mettersi a lavorare un po’ di più, indagare di più, invece di affidare soltanto all’imputato giornalista il compito di dimostrare che le notizie pubblicate sono vere».

Da tempo si dibatte per regolare la materia delle querele per diffamazione in modo da evitare il bavaglio delle querele temerarie ma sembra che la politica sia sorda a questo richiamo, così come appare restia ad affrontare il tema del carcere per i giornalisti condannati: due temi su cui si fanno chiacchiere e propaganda e per il momento nulla di fatto. «Credo che la questione sia soprattutto di carattere culturale – spiega La Penna – C’è una debolezza della cultura liberale nel nostro Paese. Nei Paesi anglosassoni, invece, dove la libertà di stampa è una religione, i giornali pagano quando scrivono cose false e a volte i giudici danno anche condanne esemplari, ma non esiste il carcere per i giornalisti, non è proprio prevista la misura della detenzione, le conseguenze sono pecuniarie ma mai sulla libertà personale».

Per Enzo La Penna più che introdurre nuove leggi («in Italia si fanno leggi su tutto e si ricorre al penale per risolvere qualunque questione») bisognerebbe recuperare il senso della misura: «Questo vale sia per noi giornalisti, perché spesso c’è un giornalismo urlato, che non si documenta, esagera nei toni e si lascia troppo influenzare dalla ricerca di like e consensi sul web, sia per i potenti di turno, per i politici, i magistrati, insomma chiunque voglia limitare il diritto di cronaca e di critica». Di aneddoti da raccontare La Penna ne ha tanti al punto da dire che «sì, forse in alcuni casi c’è stato spirito di corporativismo quando la parte offesa era un magistrato, ho visto diffamazioni correre più veloci di altre» e concludere che «l’Italia è sì un Paese libero ma se penso che, a Palermo, due colleghi furono arrestati per peculato perché si ritenne che, essendo i loro articoli molto documentati, non potevano non averli scritti se non fotocopiando atti giudiziari, questo è un Paese che mi spaventa perché può accadere di tutto».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).