Un tempo nemici giurati, l’egiziano Sisi e il turco Erdoğan si sono incontrati ad Ankara dopo undici anni di ostilità. Sisi “assassino e cospiratore di golpisti”, così lo aveva più volte definito Erdoğan dal 2013; ora è per lui diventato “il caro fratello Sisi”. Tutto fa pensare che ciò accadrà anche per Assad, prima definito dal leader turco “assassino” e ora “amico fraterno”. Dopo essere stato accolto dal presidente Erdoğan alla scaletta dell’aereo all’aeroporto di Esenboğa, il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha pubblicato un messaggio di lode per Atatürk sul suo account Twitter.

Si tratta di un fatto di importanza storica che segna l’apertura di un nuovo capitolo tra la Turchia e il suo ex dominio ottomano, poiché i due leader hanno rafforzato i legami in quella che viene descritta come “cooperazione strategica” tra Ankara e il Cairo di tipo transazionale. Sisi si è presentato nel palazzo di Beştepe con una foltissima delegazione che include i capi dell’intelligence e ministri del suo Gabinetto come quelli dell’Economia, dell’Energia, del Turismo e della Cultura che hanno firmato ben 17 accordi di cooperazione che spaziano tra commercio, investimenti, energia, trasporti, turismo, istruzione e cultura.

La visita del presidente egiziano in Turchia è importante in termini di ristabilimento delle relazioni di Ankara con i governi arabi, con i quali aveva rotto quasi tutti i ponti con lo scoppio della cosiddetta primavera araba ed è rappresentativa della brusca svolta della politica estera del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) al governo del paese. Nel tentativo di spianare la strada alla ricomposizione delle relazioni con il Cairo, Ankara ha abbandonato le politiche di aperto sostegno alla Fratellanza Musulmana, considerata un’organizzazione terroristica dal Cairo e da diverse capitali del Golfo. Sisi è riuscito a convincere Ankara a riconoscere la legittimità del suo governo che Erdoğan aveva sempre condannato per il brutale colpo di Stato del 2013 col quale Sisi rovesciò il presidente Morsi, esponente della Fratellanza musulmana. Ora entrambe le parti vogliono rafforzare la fiducia reciproca e la cooperazione. Le autorità turche hanno esercitato pressioni sulle reti di dissidenti egiziani e sui media legati ai Fratelli musulmani rifugiatasi a Istanbul affinché moderassero i toni nei confronti del regime di al-Sisi, tanto che alcuni di essi sono stati costretti a far cessare le loro attività antiegiziane in Turchia.

Ankara vuole prendere parte ai progetti regionali che mirano alla creazione di oleodotti per il trasporto di gas naturale egiziano in Europa, necessari per ridurre la dipendenza dei paesi europei dalla Russia. Erdoğan, islamista, tra i principali sostenitori del movimento globale della Fratellanza islamica e di Hamas, considerata “terrorista” da Stati Uniti, Israele e dall’Unione europea, ha portato la Turchia ad essere esclusa da un possibile ruolo di mediazione nel conflitto a Gaza a differenza di Egitto e Qatar. La difesa sta diventando uno dei pilastri centrali della futura cooperazione turco-egiziana con Hurjet, il jet supersonico biposto della Turkish Aerospace Industries, che ha fatto il suo debutto internazionale all’Egypt International Airshow il 2 settembre dopo aver sorvolato il Mediterraneo. Il volo inaugurale mostra il continuo appetito di Ankara per lo sviluppo delle esportazioni di difesa turche in Egitto, di cui si è discusso anche prima del viaggio del 14 febbraio del presidente Erdoğan al Cairo. Una cooperazione di questa natura aiuterebbe i due Paesi a superare le loro numerose differenze regionali e a raggiungere un’armonia strategica.

I due leader hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui riaffermano la loro volontà di aumentare il coordinamento su una serie di questioni regionali, tra cui quella spinosa e drammatica di Gaza dove vi è il nodo cruciale da sciogliere del controllo del corridoio di Philadelphia, la stretta zona cuscinetto lunga 14 chilometri, unica via di accesso terrestre alla Striscia, di importanza vitale per la sicurezza di Israele per impedire l’afflusso di armi a Gaza attraverso i tunnel sotterranei scavati da Hamas e per l’Egitto che si trova di fronte a un dilemma giuridico, politico e strategico.

Dal punto di vista politico, l’abbandono del corridoio potrebbe significare per l’Egitto la completa perdita del valico di Rafah che permette al Cairo di avere grande importanza e influenza negli affari dei palestinesi. Potrebbe significare una perdita economica ingente per il Sinai, infatti, mentre la crisi umanitaria a Gaza si aggrava nei terribili numeri di vittime e feriti, l’Egitto è diventato il nuovo centro di un attivismo che cerca di rispondere sia ai bisogni della popolazione della Striscia sia alle esigenze dei gazawi sfollati nel paese nordafricano. Dal punto di vista strategico, nessuno può ignorare l’importanza che Gaza rappresenta come pilastro della sicurezza nazionale egiziana e che la violazione israeliana del corridoio rappresenta una violazione della sovranità egiziana. Il leader turco dal canto suo spinge per una cooperazione col Cairo per assicurarsi asset nella ricostruzione postbellica a Gaza.