Tre anni prima di perdere la vita, insieme al suo editore, Michel Gallimard, in un incidente automobilistico nei pressi di Sens, sulla strada verso Parigi, Albert Camus aveva ricevuto il Nobel per la Letteratura. Nel suo discorso di accettazione leggiamo: «L’artista che ha scelto il proprio destino perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare».

Come forma di omaggio a Camus propongo, rivolto idealmente ai giovani, la rilettura del suo capolavoro: Lo straniero (1942). Uno dei romanzi più famosi e indagati del ventesimo secolo. Eppure il tema che pone sembra ancora oggi irrisolto, cruciale e problematico: come possiamo fare per superare lo steccato che ci separa da chi non ci assomiglia? Meursault, modesto impiegato di Algeri, pochi giorni dopo la morte della madre, uccide un arabo sulla spiaggia alla periferia della città. Per questo viene processato e condannato alla pena capitale.

Sulla gratuità del suo gesto apparentemente immotivato è cresciuta una sterminata bibliografia: pianta rampicante universitaria, su scala planetaria, sì, ma anche materiali di riporto per una morbosa fascinazione. In realtà non dovremmo mai dimenticare la posizione etica dello scrittore che, nel momento in cui schiaccia con le spalle al muro l’omicida, s’interroga sulle radici della sua atrofia sentimentale che oggi purtroppo è ancora nostra.

Si tratta di un nodo non meramente sociologico, sebbene la sua collocazione nell’Europa contemporanea delle migrazioni e dei fili spinati, delle identità fragili e delle chiusure preventive, continui a conferigli un’attualità sorprendente spiegando la ragione per cui un romanzo tutto sommato ordinario come quello di Kamel Daoud, Il caso Meursault, in cui l’autore assume il punto di vista della vittima, abbia suscitato tanto interesse. Come fare a comprendere la posizione antichilistica di Albert Camus?

Dovremmo ripartire da Il sole e la storia, per citare il titolo di una bella monografia di Raniero Regni uscita qualche anno fa nelle edizioni Armando, in cui veniva autorizzato un nesso sorprendente, meglio ancora, una segreta consonanza: «Ne lo Straniero, quando si dice ‘mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo’, il tema appare leopardiano… Senza speranza ma senza rassegnazione, Leopardi può essere davvero uno dei più puri ribelli camusiani. La rivolta come solidarietà combattiva li accomuna». In tale estrema prospettiva di fraternità vitalistica, che diventerà esplicita nel dottor Rieux della Peste (1947), temprata e protetta dal disicanto e dalla sfiducia verso le ‘magnifiche sorti e progressive’, le due parti del romanzo si legano una all’altra come meglio non si potrebbe, quasi fossero le facce di una stessa medaglia.