La circolare del 2 ottobre 2017, a firma dell’allora procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, esclude che sia un “atto dovuto” l’iscrizione nel registro degli indagati del nominativo del soggetto cui la polizia giudiziaria o il privato attribuiscano un reato, evidenziandone il “costo” anche reputazionale.

Si obietta che – nel caso dell’iscrizione del presidente del Consiglio, dei ministri dell’Interno e della Giustizia e del sottosegretario di Stato – non si sarebbe proceduto in questo senso e che a loro non sarebbe stata notificata un’informazione di garanzia. È sufficiente prendere visione del documento recapitato ai predetti per avvedersi che si è proceduto testualmente anzitutto alla loro iscrizione nel registro degli indagati e nel c.d. Mod. 21, che – come chiarisce sempre la circolare del 2017 – si effettua “in tutti i casi (e solo nei casi) in cui emergano nei confronti di un soggetto identificato elementi indiziari specifici”. Quindi, siamo proprio nel caso dell’iscrizione nel registro degli indagati più incontestabile di tutte.

Si aggiunge, da chi obietta l’atto dovuto, che l’art. 6 della legge costituzionale 1/1989 prevede che le denunzie concernenti i c.d. reati ministeriali presentate al procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di 15 giorni, devono essere trasmesse al c.d. Tribunale dei ministri, con altresì immediata comunicazione ai soggetti interessati, perché questi possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati. L’errore di chi obietta l’“atto dovuto” è non tener conto che la denuncia contro i membri del governo prima deve essere iscritta nel registro degli indagati e, solo dopo, è oggetto di comunicazione ex art. 6 legge costituzionale 1/1989. Comunicazione che non è la tipica informazione di garanzia, che va notificata solo allorquando si debba compiere un atto di indagine al quale il difensore abbia diritto di assistere. Quella comunicazione, invece, è un’informazione preventiva che i membri dell’esecutivo devono ricevere per la rilevanza del ruolo ricoperto rispetto a indagini penali che li coinvolgono.

È dunque accaduto che il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, ha prima iscritto (e non era un atto dovuto) in data 27 gennaio 2025 la presidente del Consiglio, i ministri dell’Interno e della Giustizia e il sottosegretario di Stato nel registro degli indagati e nel Registro Mod. 21. Non in 15 giorni, ma in appena 24 ore dall’iscrizione ha inviato loro la comunicazione di legge. Tempi rapidissimi. Il 24 gennaio 2025 l’avvocato Li Gotti presenta la denuncia alla Procura di Roma. Il 25 e 26 gennaio sono rispettivamente sabato e domenica.

Il 27 il procuratore capo di Roma iscrive i massimi vertici del governo nel registro degli indagati Mod. 21, prendendo subito per verosimili le deduzioni di un privato cittadino – per quanto avvocato – che ha presentato una denuncia, perlomeno provocatoria, su un fatto di indubbia rilevanza politica e internazionale e che coinvolge (è fin troppo evidente) una ragione di Stato. Il procuratore capo si allinea subito alle ipotesi di illecito del denunciante: il favoreggiamento personale, ritenendo che i massimi vertici dello Stato avrebbero “dolosamente” favorito un’evasione di una persona che avrebbe invece dovuto essere ristretta, e che avrebbero “dolosamente” fatto uso di un aereo di Stato per favorire detta evasione.

È evidente che valutazioni così significative avrebbero necessitato di una qualche maggiore ponderazione, almeno come tempi. Se non altro perché i due ministri indagati avevano già fissato per il 29 gennaio 2025 (ossia il giorno dopo la ricezione della comunicazione ex art. 6 legge costituzionale 1/1989) di riferire in Parlamento proprio su quei fatti e, magari, avrebbero potuto chiarire le ragioni di Stato che avevano portato all’espulsione del libico Almasri.

Giorgio Altieri

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