Cosa resta dell’Occidente dopo la serie di misure economiche e politiche intraprese unilateralmente dall’amministrazione Trump, spesso in aperto contrasto con gli alleati storici europei? Che ne è dell’architettura geopolitica che, almeno dal secondo Dopoguerra, ha visto il consolidarsi di un fronte occidentale fondato sull’impossibilità della guerra interna e sulla convergenza strategica verso l’esterno? La crisi dell’Occidente è evidente e conclamata. La cosiddetta “comunità euro-atlantica” (l’entità politico-militare plasmata dagli Stati Uniti nel secondo Dopoguerra con la partecipazione attiva dei Paesi europei e identificata per decenni con il “mondo libero”) è oggi apertamente contestata. La retorica trumpiana ha definito l’Europa “parassita” e “patetica”, sancendo una frattura simbolica prima ancora che politica.

Ma l’Occidente oggi messo in discussione si riferisce a una configurazione storica circoscritta, in primis quella della Guerra Fredda, in cui la contrapposizione con l’“Oriente” sovietico fungeva da principio ordinatore. Al di là di tale contingenza, però, l’Occidente come “profilo mentale” supera i confini geografici e politico-militari della comunità euro-atlantica. Esso designa un orizzonte storico e culturale più profondo: incorpora l’eredità della filosofia greca, del diritto romano, della rivoluzione cristiana dell’interiorità, delle scienze e della tecnica, della civitas urbana, della democrazia rappresentativa e dei diritti umani, fino alla secolarizzazione della sfera pubblica. L’Occidente è, in questo senso, un costrutto politico-filosofico più che un’entità territoriale. La sua identità si fonda su princìpi giuridici e istituzionali che hanno attraversato secoli di storia – una storia che non è priva di zone d’ombra, ma che ha anche saputo generare una tradizione autocritica, sulla base della quale vengono oggi formulate molte delle accuse rivoltegli.

La vera questione è dunque se l’attuale divisione transatlantica sia sintomo di una frattura più profonda all’interno della civiltà occidentale. Le tensioni tra Europa e Stati Uniti sono parte di un fenomeno ricorrente o segnano l’emergere di un nuovo scenario? Si sta profilando un mondo post-occidentale, o piuttosto si riafferma la natura “a geometria variabile” dell’Occidente, capace di ridefinirsi storicamente? La risposta dipenderà in larga misura dalla capacità dell’Europa di assumersi la propria responsabilità storica: quella di difendere le conquiste civili e istituzionali che hanno reso possibile la nascita dell’Unione europea dopo due guerre mondiali. Democrazia rappresentativa, economia di mercato, Stato di diritto, società aperta: questi sono i pilastri di un modello politico che ha contribuito a garantire la stabilità del continente. A questi si affianca un principio irrinunciabile: il rifiuto della guerra di aggressione come strumento di risoluzione dei conflitti.

Perché l’Occidente resti tale, è indispensabile che l’Europa ambisca a un nuovo protagonismo strategico, agendo come soggetto politico autonomo. La sopravvivenza stessa della democrazia europea non è scontata: i segni di crisi del nostro sistema sono evidenti. Un arretramento democratico significa che partecipiamo sempre meno alle decisioni collettive, mentre una cerchia sempre più ristretta di persone decide per tutti – talvolta senza aver ricevuto alcuna legittimazione democratica.

In questa fase storica, l’Europa, insieme agli Stati che la compongono, deve saper raccogliere la sfida della democrazia liberale e della società aperta, se non vuole soccombere sotto il peso della globalizzazione e dei nuovi equilibri geopolitici. Tuttavia, quanto accaduto finora non lascia ben sperare: l’Europa ha interiorizzato logiche neoliberali, finendo per configurarsi secondo una visione in cui sembra contare solo il mercato. Ma per far vivere davvero l’Europa serve la politica, e con essa un rinnovato senso di responsabilità, capace di guidarci verso una piena autonomia dagli Stati Uniti. Prima l’Europa, poi la politica estera e, infine, l’esercito. Invertire questi termini significherebbe ripetere l’errore già commesso: prima l’economia, poi l’euro e infine un’Europa che, di fatto, non è mai nata.