Ottenere il permesso di soggiorno, in Italia, è estenuante e complicato. Ed ugualmente impervia è la strada per mantenere, negli anni, quel documento tanto difficilmente ottenuto. Tuttavia, più si ha modo di analizzare da vicino la disciplina del d.lgs 286 del lontano 1998 e più si ha l’impressione di star partecipando ad un macabro “gioco dell’oca”, dove la legislazione sull’immigrazione – già stringente e schizofrenica – va a braccetto con continue prassi illegittime delle autorità amministrative, il cui risultato è uno sconfortante quadro per colui che – spesso perdente in partenza – debba confrontarsi con la propria regolarizzazione amministrativa o con l’esercizio dei propri diritti. Bastino alcuni esempi, tanto frequenti, quanto emblematici.

TRE STORIE ESEMPLARI

I.A. è arrivato in Italia dal 2016. Ha dovuto attendere quasi 7 anni prima di vedersi riconoscere dal Tribunale il diritto alla protezione speciale. In questi anni, grazie al permesso provvisorio in qualità di richiedente asilo, ha lavorato incessantemente, ha stipulato un contratto di locazione, ha studiato la lingua e si è perfettamente integrato nel nostro paese. Ottenuta la pronuncia di riconoscimento della protezione, I.A. chiede alla Questura il rilascio del relativo permesso. Ma la Questura “lavora” la pratica per circa un anno e mezzo, tempo durante cui I.A., pur avendo diritto al permesso valido, rimane in attesa del rilascio del permesso aggiornato, con in mano unicamente il vecchio permesso di soggiorno (ormai scaduto) ed una ricevuta della richiesta inoltrata. Per questo dapprima perde il lavoro, perché il datore richiede un permesso di soggiorno valido per rinnovare il contratto, conseguentemente è costretto a lasciare l’abitazione locata. Dopo anni di indipendenza deve, suo malgrado, iniziare – nuovamente – a convivere con altre persone in un’abitazione ove, però, non può prendere la residenza, oltre a dover svolgere attività lavorativa irregolare. E quando, finalmente, entra in possesso dell’agognato permesso di soggiorno, si accorge che la “data di rilascio” impressa sullo stesso è la data di “richiesta” di rilascio (ovvero quasi due anni prima) e che, quindi, il permesso nelle sue mani è quasi in scadenza. Deve iniziare tutto da capo. Ma, questa volta, senza un lavoro stabile e senza una residenza.

D.G. non è riuscito ad ottenere la residenza. Ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato ma ha un permesso di soggiorno in scadenza e che deve rinnovare. E se pochi privati affittano a persone straniere, e se ancora meno permettono di stabilire la residenza nell’abitazione locata, quasi nessuno concede in affitto un immobile ad un soggetto che – pur lavorando – ha il permesso in fase di rinnovo. Perché questa circostanza è sintomatica di uno stato di incertezza. Ed un privato, comprensibilmente, spesso non ha intenzione di assumersi il rischio derivante da tale precarietà.
Eppure, essendo la residenza un requisito necessario a rinnovare il permesso di D.G., questo viene rigettato. Ed allora, nonostante gli anni vissuti regolarmente in Italia, ove lavora ed è integrato, si trova tutto ad un tratto sprovvisto di un titolo di soggiorno e con una unica possibilità davanti: avanzare domanda di protezione internazionale. Perché le Autorità sono obbligate ad acquisire la pratica, anche in assenza di una residenza. Tuttavia, per il rilascio del permesso di soggiorno temporaneo – diritto di ogni richiedente asilo, che abilita allo svolgimento di regolare attività lavorativa – la Questura pretende una dichiarazione di ospitalità, in mancanza della quale D.G. non potrà ottenere il permesso di soggiorno di sei mesi e, quindi, lavorare. Dovendo ricominciare il percorso dall’inizio.

S.M. ha quasi 65 anni e viene dalla Bosnia. È arrivata più di trent’anni fa assieme al marito. Ha sempre avuto un permesso di soggiorno per motivi familiari in quanto il marito svolgeva attività lavorativa. Il coniuge è stato arrestato e poi ristretto ed S.M., venendo meno l’attività lavorativa del marito, non è riuscita più a rinnovare il permesso di soggiorno e ha ricevuto un provvedimento di espulsione. È anziana e malata: è affetta da diabete ed è malata di cuore. Avrebbe diritto ad un permesso per cure mediche, ma nessun medico ASL ha aggiunto alla certificazione medica la dicitura prevista dalla normativa, ossia la dichiarazione secondo la quale le gravi patologie di cui è affetta non siano “adeguatamente curabili nel paese di origine” e “tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute [..] in caso di rientro nel paese di origine”. Pertanto S.M. ha una sola scelta davanti: rimanere sprovvista di documenti o avanzare domanda di protezione internazionale, rischiando di venir reclusa dentro un CPR in quanto già gravata da una espulsione e proveniente da un c.d. “paese sicuro”.

I REQUISITI IMPOSSIBILI
DEL PERMESSO

Contratto di lavoro, redditi (sufficienti e continuativi), residenza (idonea e munita di idoneità alloggiativa) ovvero dichiarazione di ospitalità, conoscenza attestata della lingua italiana, passaporto. Questi, sommariamente, i requisiti più comuni richiesti per un permesso di soggiorno. Ma la realtà che si cela dietro questi formali requisiti, fa emergere una situazione ben diversa dalla meritocrazia che vorrebbero rappresentare.
La stipula del contratto di lavoro, benché si svolga effettivamente attività lavorativa, diviene facilmente motivo di ricatto nei confronti di un soggetto il cui regolare soggiorno (e, quindi, il cui futuro) dipende dall’esistenza di quella “carta”. Circostanza che, sommata alla quasi assenza di puntuali controlli da parte delle autorità sui luoghi di lavoro ed alle – poche – reti sociali messe a disposizione di chi prende coraggio e denuncia situazioni di sfruttamento lavorativo, esasperano quella condizione che denota, già di per sé, vulnerabilità. Su questo insistono prassi illegittime delle varie Questure che, trattenendo in “giacenza” le pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno, spesso per anni, giungono infine a provvedimenti di rigetto in quanto nelle more, a volte, lo straniero ha perduto il lavoro.

Mentre la richiesta di un contratto di lavoro può spingere lo straniero ad esporsi a pratiche di sfruttamento lavorativo (creando, con ciò, un conseguente conflitto di interesse con il lavoratore italiano o munito di regolare documentazione), il requisito della residenza lo costringe spesso a farsi travolgere dal mondo del mercato nero di tali certificazioni: in una realtà in cui i privati proprietari di immobili pretendono garanzie finanziarie, garanti, contratti di lavoro a tempo indeterminato, alte caparre e, non troppo raramente, la cittadinanza italiana, non è difficile comprendere come riuscire ad ottenere un contratto di locazione nonché la residenza (in special modo se si è stranieri) diventi una missione quasi impossibile. Ed a niente servono le c.d. “residenze fittizie” presso le Case Comunali: procedure spesso osteggiate dagli stessi Comuni, restii a concedere tali iscrizioni, ed in ogni caso ritenute non adeguate dagli organi amministrativi ai fini del rinnovo del documento.

Nel subordinare alla scelta discrezionale di un terzo privato (concedere o meno in locazione e permettere l’iscrizione della residenza) la sussistenza di un requisito imprescindibile per il rinnovo di molte tipologie di permessi di soggiorno, il risultato (ben noto alle Questure territoriali, quanto prevedibile) è la proliferazione della compravendita di dichiarazioni di residenza o di dichiarazioni di ospitalità dietro pagamento di laute somme di danaro e l’alimentazione di un vero e proprio mercato “nero”, a scapito dello straniero, le cui sorti dipendono dal permesso di soggiorno.

LA CHIMERA DELL’ASSISTENZA LEGALE

Le Questure, afflitte da un perenne sottorganico, di fronte ad istanze legittime dello straniero spesso lo allontanano suggerendo allo stesso di rivolgersi ad un avvocato. E come può ciò rappresentare un aggravamento negativo e non una maggior garanzia per il soggetto? Lo diventa nel momento in cui lo straniero, ben consapevole di non poter trovare conforto nell’istituto del patrocinio a spese dello Stato con riferimento alle procedure amministrative extra processuali, non avrà la capacità economica per rivolgersi al difensore per la difesa di un diritto o per l’espletamento di una pratica che ben avrebbe dovuto essere acquisita ed affrontata direttamente dall’Amministrazione, anche in assenza del difensore. Con rinuncia, da parte dello straniero, alla difesa dei propri diritti e la moltiplicazione delle prassi amministrative illegittime.
Ed ancora. Le Questure ben frequentemente emettono provvedimenti decisori su istanze di rilascio o rinnovo di permesso di soggiorno a distanza di anni dall’inoltro delle relative richieste. E nel frattempo? Lo straniero è “abbandonato” in una spirale che spesso si rivela drammatica: in possesso del solo permesso di soggiorno ormai scaduto e della ricevuta dell’inoltro dell’istanza, se ha un lavoro spesso lo perde; se ha un’abitazione con regolare residenza, a seguito della perdita del lavoro, è costretto a lasciarla. È condotto, ipocritamente, verso un lavoro irregolare, necessario alla sopravvivenza. Ed, allo stesso tempo, alla perdita graduale di tutti i requisiti ottenuti nel tempo e necessari al mantenimento del permesso di soggiorno.

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Quello che ci riportano questi scenari è, quindi, una legislazione dell’immigrazione sulla quale sembra in corso una vera e propria competizione tra i diversi Legislatori succedutisi negli anni quanto alla manipolazione normativa – rigorosamente a suon di decreti legge – che restituisce un testo di legge fatto di “taglia e cuci”, tanto confusionario e poco “unico” da apparire un patchwork comprensibile solo dopo mesi di studio e nelle cui maglie si inseriscono facilmente innumerevoli prassi illegittime delle Autorità amministrative, il cui risultato è l’allontanamento dell’utente dal proprio diritti di difesa e dalla tutela dei propri diritti fondamentali. Diciamolo chiaramente. In Italia vogliamo persone irregolari. Un mondo di invisibili senza diritti né pretese. Un mondo di nuovi schiavi (da lavoro, da residenza, da rinnovo del permesso di soggiorno), spogliati, nella realtà quotidiana, della possibilità di esercizio del pieno diritto alla difesa e resi, dunque, sempre più inermi di fronte a palesi violazioni dei propri diritti.

Guia Tani

Autore

Avvocato penalista