La furia dell’ex pm Ingroia: "Un clamoroso errore giudiziario"
L’odissea di Benedetto Bacchi: dopo aver denunciato i mafiosi viene stritolato dall’antimafia

L’avvocato Antonio Ingroia parla di “doppia vittima, prima della mafia e poi dell’antimafia”, riferendosi al suo assistito Benedetto Bacchi, stritolato da un lato da Cosa Nostra e dall’altro dagli ingranaggi di quella macchina infernale che è diventata negli ultimi anni parte dell’antimafia giudiziaria e non solo. Saguto e Montante docet. Per chiedere conferma basta rivolgersi al direttore di Telejato Pino Maniaci – la cui storia è approdata su Netflix nella serie Vendetta: guerra nell’antimafia – e ad una lunga lista di giornalisti, imprenditori ed ex sindaci i cui comuni sono stati commissariati per mafia seppure di mafia non ce ne fosse neanche l’odore. Tutti rimasti impigliati nella rete di uno Stato che avrebbe dovuto proteggerli ma che invece li ha ulteriormente colpiti. O al contrario acclamati, portati alla ribalta mediatica come nuovi paladini di un’antimafia poi rivelatasi di facciata, strumento di potere per decidere carriere o eliminare i nemici.
La storia di Benedetto Bacchi, detto Ninì, è un altro tassello di un mosaico che ogni giorno si arricchisce di nuovi pezzi. Siamo a Partinico. È il 2018. Bacchi, imprenditore nel settore delle scommesse, viene arrestato nell’ambito dell’operazione Game Over. L’accusa è pesante: secondo la procura di Palermo Bacchi, grazie a un patto con Cosa Nostra sarebbe riuscito a monopolizzare il settore e a realizzare una rete di agenzie di scommesse abusive capaci di generare profitti per un milione di euro al mese. L’imprenditore viene rinviato a giudizio e nei giorni scorsi, dopo tre anni e mezzo di carcere, la Procura chiede per Bacchi la pena più alta tra tutti gli altri imputati del processo ordinario, e cioè 20 anni di reclusione.
«In realtà Bacchi – spiega l’avvocato difensore Antonio Ingroia – è vittima della mafia palermitana del pizzo. Per paura delle ritorsioni ha taciuto per anni, è sceso a patti con la mafia in qualità di vittima che paga il pizzo. Ma la giustizia lo scambia per un complice di Cosa Nostra e quindi viene arrestato e tenuto in carcere tre anni e mezzo». Durante il processo la sua difesa riesce a dimostrare quello che Ingroia definisce “un clamoroso errore giudiziario” ma la Procura di Palermo continua nella sua accusa. Intanto l’imprenditore partinicese si ammala di una grave depressione psichica che lo porta a tentare il suicidio in carcere. Per questo lo scorso luglio Bacchi viene ammesso agli arresti domiciliari.
In famiglia la sua condizione di salute migliora e con coraggio accusa durante il dibattimento i suoi estorsori. Nomi pesanti della mafia locale. Bacchi, così, dopo anni di timori e ansie fa nomi e cognomi. Ma per la Procura le sue dichiarazioni sono tardive e inoltre averle rese in pubblico dibattimento costituisce un danno alle potenziali indagini della Procura e un favore ai mafiosi. Da qui la richiesta di condanna formulata dall’accusa la scorsa settimana con un aumento della pena a 20 anni. Ingroia, dal suo profilo Facebook, non nasconde tutta la sua rabbia e amarezza: «Ma dove siamo arrivati?!? Questo è il modo per incoraggiare gli imprenditori a prendere le distanze dalla mafia? Questa è la maniera per aiutare gli “indecisi” a superare ogni remora e denunciare le estorsioni subite? Punire chi ha taciuto come fosse un complice?!?», scrive l’ex pm.
«Intanto – aggiunge – Benedetto Bacchi e i suoi familiari rischiano la vita, lo Stato li ha abbandonati a sé stessi e nessuno li sta proteggendo. Questo è il modo migliore per contrastare la mafia? Se si continua su questa strada è difficile sostenere che ‘la legalità conviene’ come tutti dichiariamo da anni. Perché sia conveniente stare dalla parte della legalità e dello Stato, lo Stato deve dimostrare di esserne all’altezza. Attendiamo e speriamo che venga da qualche istituzione un cenno di presenza e di attenzione. Perché in questa vicenda, come in tante altre, lo Stato ha tanto da farsi perdonare». Alle domande dell’avvocato Ingroia ci permettiamo di aggiungerne un’altra: chi restituirà a Bacchi questi anni di vita passati tra aule giudiziarie e carcere?
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