Loggia Ungheria, tutti i nomi coinvolti nello scandalo che fa tremare le toghe

Come era facilmente prevedibile, la pubblicazione ieri, anche se a scoppio ritardato da parte del Fatto Quotidiano, dei verbali delle dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara sulla loggia Ungheria, ha scatenato il putiferio. Il Fatto Quotidiano aveva ricevuto questi verbali in una busta anonima esattamente un anno fa. La “postina” sarebbe stata Marcella Contraffatto, ex segretaria di Piercamillo Davigo al Consiglio superiore delle magistratura, ora indagata dalla Procura di Roma per calunnia. Per non compromettere le indagini, il quotidiano di Marco Travaglio aveva deciso di non pubblicare i verbali ricevuti e aveva denunciato l’accaduto alla Procura di Milano, ufficio dove alla fine del 2019 era stato interrogato Amara dai pm Laura Pedio e Paolo Storari.

Era stato Antonio Massari, il giornalista del Fatto che si era occupato di recarsi dai pm milanesi, trattenendosi, evidentemente, una copia di questi verbali. Dalla loro lettura, che il Fatto ha pubblicato parzialmente e che sono ancora secretati tranne un paio, emerge che la loggia Ungheria sarebbe stata composta per la maggior parte, salvo qualche eccezione, da magistrati appartenenti alla corrente di Magistratura indipendente. Mi è la corrente più antica della magistratura associata. Di impronta “conservatrice”, o come dicono in molti “di destra”, in passato ha annoverato fra i suoi iscritti magistrati che hanno fatto la storia della magistratura italiana. Erano di Mi, tanto per fare due nomi, Pierluigi Vigna e Paolo Borsellino. Il fondatore di Ungheria sarebbe stato Gianni Tinebra, ex procuratore di Caltanissetta e poi capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria.), morto qualche anno fa.

Tutto l’attuale gotha di Mi farebbe parte di Ungheria. Il primo è Cosimo Ferri, leader storico della corrente, magistrato più votato all’Anm con quasi 2000 voti, già componente del Csm, sottosegretario alla Giustizia in tre governi, e adesso parlamentare di Italia viva. Con lui Sebastiano Ardita, (che ha smentito in tv), pm antimafia e componente del Csm, esponente di Mi prima di aderire ad Autonomia&indipendenza, il gruppo fondato da Davigo, anch’egli con un passato in Mi. E sono di Mi Antonello Racanelli e Lorenzo Pontecorvo, entrambi in servizio a Roma, il primo come procuratore aggiunto, il secondo come presidente di Sezione di Tribunale. Sia Racanelli che Pontecorvo sono stati consiglieri del Csm. Il primo ha anche ricoperto l’incarico di segretario nazionale di Mi. Un ruolo importante in Ungheria lo avrebbe il giudice Claudio Maria Galoppi, adesso assistente della presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, altro esponente di punta di Mi e anch’egli con un passato da consigliere del Csm. Ungheria, usando le parole di Amara, doveva battersi per uno “Stato liberale, ispirato da principi garantisti, contro la deriva giustizialista”.

Una deriva, Amara non lo dice ma si intuisce, portata avanti da Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe che ha sempre visto come fumo negli occhi Magistratura indipendente e, in particolare, Ferri.
Per contrastare i manettari, Tinebra aveva fatto, sempre secondo Amara, opera di proselitismo dietro il paravento di Opco (Osservatorio permanente sulla criminalità organizzata), una associazione che riceveva finanziamenti dalla Regione siciliana. «Magistratura indipendente aveva un potere assoluto al Csm», prosegue Amara. Una narrazione, però, che si scontra con i numeri: i componenti di Mi al Palazzo dei Marescialli, infatti, erano meno della metà dei componenti progressisti di Md. Una sponda Tinebra l’avrebbe trovata, poi, con i vertici delle forze di polizia. Soprattutto di carabinieri e guardia di finanza. Ma anche politici, avvocati importanti come Paola Severino, farebbero parte di Ungheria. Sono decine i nomi fatti dall’avvocato siciliano.

Molti ieri hanno smentito e minacciato querele mettendo in discussione la credibilità di Amara il quale, però, è stato ritenuto fino a questo momento credibile da almeno quattro Procure: Milano, Perugia, Potenza e Roma.
A Milano, infatti, è stato fra i testi di accusa nel processo Eni Nigeria. A Perugia è la gola profonda che ha inguaiato Luca Palamara. A Potenza, dove era stato arrestato prima dell’estate con l’accusa di abuso d’ufficio, favoreggiamento e corruzione nell’indagine che aveva coinvolto anche l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo, si è subito guadagnato la fiducia dei magistrati. Il procuratore Francesco Curcio, dopo averlo interrogato, lo aveva rimesso in libertà, “premiando” la sua collaborazione. A Roma, infine, Amara aveva patteggiato nel 2019, per le medesime accuse di Potenza, una pena sotto i tre anni che lo aveva messo al riparo dalla prigione. Altro patteggiamento “regalato” lo aveva avuto dalla Procura di Messina.

Proprio per la fiducia conquistatasi presso tutti i pm d’Italia, ad Amara nessuno ha mai sequestrato un euro del suo immenso patrimonio di dubbia provenienza, circa 80 milioni di euro. La credibilità di Amara rischia, allora, di “interrompersi” su Ungheria. La migliore smentita è arrivata ieri in serata da parte di Racanelli: «Di fronte alle dichiarazione di Amara non so se piangere o ridere. Piangere per il livello che ha assunto nel nostro Paese la lotta politica anche all’interno della magistratura o ridere per la palese infondatezza delle affermazioni dell’avvocato Amara. Aggiungo anche che personalmente – spiega – non conosco molte delle persone tirate in ballo dall’avvocato Amara come appartenenti a questa presunta Loggia».

«Quanto prima – annuncia il magistrato – procederò a presentare denuncia per calunnia nei confronti dell’avvocato Amara sempre che le dichiarazioni allo stesso attribuite così come pubblicate oggi sul Fatto Quotidiano corrispondano al contenuto degli interrogatori resi. Spero si faccia piena luce sulle vicende relative alla diffusione dei verbali di interrogatorio dell’avvocato Amara e alla loro circolazione anche all’interno di luoghi istituzionali: vi sono molti aspetti oscuri che meritano di essere chiariti». Ed infine: «Mi pongo solo una domanda: chi c’e’ dietro l’avvocato Amara?». E già, non è che dietro Amara c’è il solito scontro fra gruppi di potere della magistratura, iniziato proprio con la nomina del procuratore di Roma?