Una volta i militanti delle Brigate rosse, quando venivano interrogati, rispondevano tutti con la stessa formula: «Sono un militante comunista e non ho niente da dichiarare». In realtà la formula viene dalla storia del partito comunista negli anni del fascismo. Le Br la copiarono. Marco Travaglio ieri deve essersi ispirato a questo modo di fronteggiare le domande difficili, quando finalmente, dopo sei mesi, ha deciso di rispondere alla questione che gli poniamo con insistenza dalle colonne di questo giornale: Cosa sai, e non dici, sul caso Consip? Travaglio ha risposto nelle prime righe della sua rubrica del lunedì sul Fatto, con pochissime parole: “So che l’imputato è il tuo editore Alfredo Romeo. Serve altro?”. Come dire: “Non sono una spia e non parlo”. La storia di Travaglio non ha niente a che fare con quella dei comunisti. È opposta. Però deve aver subito la suggestione. Il problema che ora mi pongo è questo: i comunisti – e anche i brigatisti -, rispondevano così seguendo un ordine che veniva dall’alto, in una organizzazione rigidamente gerarchica. Chi ha dato l’ordine di tacere a Travaglio? Oggi provo a chiedergli anche questo, ma non credo che mi risponderà mai. Ha la scorza dura dei vecchi gappisti, Marco, sa mantenere i segreti… Ricapitoliamo tutta la vicenda, perché è molto interessante e può aiutare a capire sia il caso Consip che l’antichissimo problema dei rapporti tra stampa e potere.

Alla fine del 2016 esplode il caso Consip. Cioè lo scandalo dell’azienda pubblica che distribuisce gli appalti ai privati, e che pare abbia distribuito questi appalti violando le regole e la legittima concorrenza. Vengono coinvolti politici, carabinieri, imprenditori. Tra loro anche Alfredo Romeo, che oggi è l’editore di questo giornale. Romeo viene arrestato dalla Procura di Roma e dopo qualche mese scarcerato dalla Cassazione. Nella motivazione dell’ordine di arresto c’è scritto, testualmente: “legittima difesa criminale”. Cioé? Boh. Su di lui ci sono due inchieste. Una di queste ha portato alla richiesta della Procura di archiviazione (respinta però dal Gip), l’altra è in corso. Riguarda una tangente di 100mila euro che sarebbe stata imposta a Romeo da un certo Gasparri – che poi, si è scoperto, è andato a lavorare per l’azienda concorrente con quella di Romeo – ma di questi 100mila euro non c’è traccia. Né in entrata né in uscita. Né ci sono contropartite.

Esistono poi svariate intercettazioni, ed esistono gli interrogatori dei testimoni, realizzati dalla procura di Roma. Da queste intercettazioni e dagli interrogatori si capiscono un paio di cose. Dalle dichiarazioni dei testimoni risulta che alcune aziende chiesero ai vertici Consip di essere favorite e si fecero raccomandare: tra queste aziende non c’era quella di Romeo. Dalle intercettazioni – attenzione a questo dettaglio – risulta che il numero 1 di Consip, Luigi Marroni, in un incontro con un altro alto dirigente, Francesco Licci (capo della commissione che decideva l’assegnazione degli appalti), dice che sebbene Romeo abbia legittimamente vinto tre lotti tra quelli in gara, questi lotti non possono essergli assegnati, anche se sarebbe giusto, perché “altrimenti è una tragedia”. Letterale: una tragedia. E poi, sempre discutendo con Licci, gli chiede di fare qualche strategia per il Fatto Quotidiano. Licci sostiene di aver già provveduto e di avere affidato questa strategia a una società specializzata.

Benissimo, cosa emerge da queste intercettazioni e interrogatori? Un fatto incontestabile: Alfredo Romeo è stato vittima di Consip. Non solo non ha avuto niente illegalmente, ma gli sono stati portati via appalti che gli spettavano. Per favorire le aziende concorrenti. Come mai allora hanno arrestato lui? Non lo so. Forse puntavano a qualcun altro. Per esempio al papà di Renzi? Probabile. Ma è anche probabile che abbiano sbagliato strada. Voi magari penserete che faccio queste domande perché sono amico di Romeo. Certo che sono amico di Romeo ma le domande, se mi avete seguito sin qui, vedete bene che sono oggettive. Dovrebbe porsele anche Travaglio, se davvero vuole ritrovare il filo della matassa Consip e capire chi ha imbrogliato, chi ha nascosto, chi ha tramato, chi ha guidato, chi ha coperto. Non basta farsi passare un po’ di carte dai magistrati, quando sono ancora coperte da segreto: bisogna indagare davvero, e usare la logica. Invece…

Invece c’è quella questione, tutt’altro che chiara, della “strategia per il Fatto. Di che si tratta? È stata realizzata questa strategia? Era a vantaggio del Fatto o era intimidatoria? Chiedeva in cambio qualcosa? Serviva a colpire o a proteggere? Io non posso rispondere a queste domande. Solo Travaglio può rispondere, o Marroni. Per questo chiedo da molto tempo a Marco di dirmi cosa sa di Consip. Lui mi risponde che non ha nulla da dichiarare e che l’imputato è Romeo. Come andarono le cose dopo quella intercettazione di Marroni? Andarono così: Marroni è l’unico big del caso Consip che non ha mai ricevuto neppure un avviso di garanzia. Eppure, prendendo in considerazione solo quella intercettazione della quale vi ho riferito, c’è il dubbio che abbia facilitato delle aziende non meritevoli e danneggiato un’azienda che meritava. Nessuno ha indagato?

E poi c’è un altro dettaglio: il Fatto di Travaglio ha attaccato tutti, non solo Romeo. Tutti meno una persona. Quale? Marroni. Possibile? Sì, possibile. Figuratevi, io penso che Travaglio avrà avuto le sue ottime ragioni per non attaccare Marroni, però farebbe bene a spiegarle. Personalmente capisco qual è il problema di Travaglio. Dimostrare che a capo di tutta la vicenda Consip c’è il papà di Renzi e poi Renzi. È un teorema politico che rientra nella linea politica del Fatto. Non so se Travaglio ha ragione. Non credo. Ma come pensa di poter dimostrare di aver ragione se poi non collabora alle indagini? Bisogna capire chi e perché ha spalleggiato Marroni, sennò non si capisce niente di questo caso. E bisogna tener conto del fatto che Alfredo Romeo è stato danneggiato e non favorito.

Chi voleva danneggiare Romeo? Perché? Magari la risposta non è semplice. Se davvero vuole diradare la nebbia, Travaglio, deve uscire dal suo silenzio. Mi viene quasi da scrivere dalla sua reticenza, dando a questa parola un valore figurato. Se non lo fa, aiuta i padroni dello scandalo Consip.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.