Sei Punte
I due racconti
L’operazione israeliana in Cisgiordania non è condotta contro fanciulle in fiore: è stata ‘chiamata’ da Hamas
Le recenti iniziative israeliane in Cisgiordania possono essere descritte e commentate in due modi. Il primo è quello che va per la maggiore nelle redazioni engagé dal fiume al mare e sui muri degli orinatoi in autogrill, e pressappoco suona così: insoddisfatta dell’andamento genocidiario a Gaza, l’Entità sionista ripiega sulla West Bank e comincia anche lì la sua opera sterminatrice.
Il secondo approccio è meno vibrante di indignazione per la fame di sangue dell’oppressore, ma un po’ più aderente a questa cosa noiosissima che si chiama realtà, un impiccio costituito da alcuni fatterelli inoppugnabili. Innanzitutto, che la denunciata illegalità dell’occupazione israeliana in parte di quei territori non toglie il fatto che lì persistano, e anzi prendano vigore, forze terroristiche che nessun confinante lascerebbe indisturbate.
La chiamata di Hamas
In secondo luogo, che è di questi giorni – non di una remota Intifada – l’annuncio di un capo di Hamas di voler dare corso a una campagna di attacchi suicidi proprio dalla West Bank. Infine, che, salvo prova contraria, l’operazione israeliana in Cisgiordania non è condotta contro fanciulle in fiore e vegliardi ingobbiti. Al solito. Possono esserci vittime civili? Sì. Sarebbe esecrabile, se ve ne fossero? Non c’è dubbio. Ma una cosa è attribuirle a una deliberazione omicida, un’altra cosa è registrarne la pur deplorevole eventualità nel quadro di un intervento militare rivolto a impedire uno stillicidio di attentati suicidi. Un’altra considerazione spiacevolmente aggrappata alla realtà dei fatti riguarda in particolare lo stato di occupazione che affligge quei territori e la popolazione palestinese che vi risiede.
Far finta di nulla come con Gaza?
Riconoscere che si tratta di una situazione che deve essere risolta con qualche forma di arretramento da parte israeliana non significa – non dovrebbe significare – negare che non c’è nessuna garanzia, anzi, che la fine dell’occupazione non si risolva nella costituzione di un’altra Gaza. Con il consolidamento anche lì, appunto come a Gaza, di dirigenze fondamentaliste che non hanno in mente nessun processo di autodeterminazione ma solo e soltanto la distruzione di Israele. Far finta che questo pericolo non ci sia o, peggio, attribuirlo alla responsabilità di chi esercita il suo giogo sionista sulla West Bank, è solo l’ennesimo esperimento di negazione. Lo stesso per cui Gaza è stata trasformata in quel gruviera di tunnel e in quel covo di tagliagole per colpa di chi l’avrebbe ridotta a una prigione a cielo aperto.
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