I nodi che l’Europa del dopo 9 giugno ha di fronte sono tremendi. Si ritrova con due guerre in corso ai suoi confini e vi deve far fronte con urgenza, idee chiare e compattezza, se non vuole implodere: primum vivere deinde philosophari, in sintesi. Solo se si mostrerà in grado di presidiare i suoi confini con dignità e autonomia, potrà ritagliarsi uno spazio nel mondo globale tra i due attori protagonisti, Usa e Cina. Spazio che c’è, perché l’Europa è un grandissimo mercato, ma va utilizzato per immaginare e costruire futuro, non per mettergli le briglie: da questo punto di vista “l’America fa, la Cina copia, l’Europa regola” non è solo un aforisma tristemente efficace, ma può risultare una condanna mortale per noi europei, che stiamo costruendo con fatica la casa comune partendo dall’alto, da una governance più barocca che complessa. Il che certo non favorisce il pieno dispiegamento degli animal spirits dell’impresa, del genio creativo e delle riserve di storia e cultura che il continente esprime.

Francamente l’Unione europea non sembra attrezzata per questi appuntamenti cruciali. Ma anche l’Italia si presenta ai nastri di partenza della nuova legislatura in una condizione a dir poco anomala. È uno dei paesi fondatori dell’Europa, ma al momento è fuori dal giro che conta. Giorgia Meloni è l’unica tra i leader ad aver vinto nelle urne, ma non sembra in grado di capitalizzare il suo risultato: il partito europeo di cui è a capo – diviso al suo interno – è visto con fastidio e sospetto, la stessa coalizione che guida in Italia appartiene a famiglie politiche che sul continente si guardano in cagnesco.

E dunque, di quale bussola dotarsi per valutare i prossimi passi della Meloni nel difficile confronto per la nascita della nuova governance europea? Da riformisti faremo valere un solo criterio, finanche al di là dei risultati che porterà a casa. Diremo brava alla Presidente del Consiglio se – nelle difficili condizioni date – si muoverà pensando unicamente agli interessi dell’Italia. E con lei, al fine di ottenere i risultati migliori per il paese, dovrebbero schierarsi tutti, comprese le opposizioni, tentate sempre dal gioco del tanto peggio tanto meglio. Se, viceversa, Giorgia Meloni farà prevalere nella trattativa toni sterilmente propagandistici e si arroccherà a difesa di posizioni di principio e/o di partito, alla fine perderà parecchio del credito di cui gode oggi. Ma, soprattutto, farà pagare un prezzo pesante al sistema Italia.