La quarta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura ha respinto la richiesta di dichiarare Loris D’Ambrosio “vittima del dovere”. Una decisione che, nel rispetto delle valutazioni fatte dai consiglieri, lascia l’amaro in bocca. Loris D’Ambrosio è stato per tutti l’incarnazione del servitore dello Stato. Ha dedicato anima e corpo alle istituzioni e alla lotta alla mafia. Al ministero della Giustizia con Falcone e poi con Diliberto, Castelli, Alfano, Severino. Al Quirinale con Carlo Azelio Ciampi e con Giorgio Napolitano poi. Fu coinvolto nel processo farsa sulla trattativa Stato-Mafia, furono pubblicate le sue conversazioni con Mancino, fu vittima di una campagna di odio da parte dei soliti noti. Offrì le sue dimissioni a Napolitano nonostante tutto e il Presidente le rifiutò con forza, ribadendogli la sua stima e la sua fiducia.
Loris D’Ambrosio morì d’infarto, proprio nei giorni in cui la macchina del fango si accaniva contro di lui. Tutti raccontano che ne soffrì in modo totalizzante. Si racconta a ragione che ne soffrì moltissimo anche Giorgio Napolitano: come accade a tutte le vittime di pm ideologizzati che vedono colpiti non tanto e solo se stessi, ma anche gli amici, i consiglieri, i collaboratori. Durissime furono le parole del Presidente: “Insieme con l’angoscia per la perdita gravissima, atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità”. E quando arrivò a Londra, alla vigilia delle Olimpiadi, compiuto il suo dovere si ritirò dicendo: “Non resto a cena al Villaggio, non voglio che il mio stato d’animo pesi sulla vostra allegria”.
Riconoscere D’Ambrosio vittima del dovere non sarebbe stata certo un’esagerazione: di gogna mediatica, di mala giustizia e del dolore che provocano si muore. E si può solo immaginare il dolore che possa aver provato un uomo così retto, un uomo di Stato appunto, davanti a quelle accuse così terribili. Loris D’Ambrosio è l’immagine perfetta delle conseguenze nefaste sulla vita delle persone che provoca la saldatura fra pm ideologizzati e una certa stampa. Per questo voglio rivolgere da queste pagine un appello al nuovo Csm, che ha già dato prova di essere di tutta altra caratura rispetto ai precedenti, che con il suo Presidente Pinelli ha dimostrato in più occasioni di possedere ed esercitare equilibrio nelle scelte: quando la pratica arriverà al plenum, la invii nuovamente in commissione affinché sia approfondita la questione. È l’appello di chi ha conosciuto l’umanità, la compostezza, il calore non dell’uomo di Stato, ma del professore. Il professore che alla fine di una lezione sul diritto penale, si fermò a discutere con una studentessa dubbiosa e preoccupata per il rispetto dei diritti umani sul perché il 41bis che aveva contribuito a scrivere era stato fondamentale nella lotta alla mafia e su come i diritti del detenuto venivano comunque garantiti.
Il professore che raccontava di quanto la Mafia fosse crudele, senza paura, con il suo tono composto. E quando arrivò a parlare del piccolo di Matteo, il religioso silenzio con cui le lezioni erano seguite fu rotto dalla commozione.
Da studenti non avevamo troppa consapevolezza del suo peso nelle istituzioni. Ma alla fine del corso, eravamo certi di aver trovato un esempio da seguire. Sarebbe davvero un gesto potente, riconoscerlo vittima del dovere. Per D’Ambrosio e per tutti coloro (a partire da Enzo Tortora) che di malagiustizia sono morti.