C’è un solo motivo per cui le immagini dei precipitati dagli aerei in fuga dall’Afghanistan sono inedite: e cioè perché nelle altre parti del mondo, dove pure c’è disperazione e impera il terrore, non ci sono operazioni di salvataggio né telecamere disposte a riprenderle. C’è un solo motivo per cui appare strepitoso il gesto delle madri che affidano i loro bambini ai militari: e cioè perché altrove, dove pure l’infanzia è destinata alla sopraffazione, alla fame, alla morte, non c’è nemmeno quel filo spinato a delimitare una zona franca di possibile salvezza.

Una buona quota degli ottanta milioni di profughi nel mondo viene da Paesi in cui uomini, donne e bambini sono liberamente imprigionati, torturati, uccisi, senza che quel massacro abbia un confine preciso. Letteralmente, un massacro sconfinato: senza giornalisti che ne raccontino la tragedia, senza l’interferenza delle “guerre sbagliate” dell’Occidente, senza che siano chiamate in causa le responsabilità internazionali ora evocate giusto perché si tratta di rimpallarsele.

Ci si pensi: basta che abbiano una destinazione australe o verso Est, ed aerei uguali a quelli da cui precipitavano quegli afghani aggrappati sorvolano ogni giorno la scena infinita delle impiccagioni, delle lapidazioni, dei campi di concentramento, dell’infanzia infibulata, dei bambini addestrati all’uso del fucile nell’attesa che il braccio sia abbastanza forte per adoperare il machete nelle decapitazioni. Il dramma afghano ci rinfaccia in modo esemplare la verità di una situazione più vasta, della quale non dovremmo più far finita di non sapere nulla quando un barcone di disperati si accosta all’Italia.