Gli esclusi
Lotta al Coronavirus, i bambini sono scomparsi dai decreti del Governo: ai loro bisogni nessuno ci pensa
Nel decreto, anzi nei numerosi decreti che contengono le norme governative per combattere e arginare la pandemia da Covid-19, sono scomparsi i bambini. Cancellati, non una parola su di loro. Si fa riferimento a tutto, ad ogni elemento della catena sociale, inclusi i cani e la loro necessità di uscire, di espletare i loro bisogni, ma non c’è nulla sui bisogni dei bambini. Molto si è detto, fatto e predisposto sui doveri dei bambini, ovvero su come continuare la didattica, come organizzare il loro studio, che è certo anche un diritto, ma in questi giorni di reclusione, ha solo il sapore del dovere, ma nulla è stato stabilito e concesso alle loro esigenze, per la difesa dello loro psiche, ovvero su come tutelarli e proteggerli dalla paura.
Abbiamo, anzi questo illuminato Governo, ha cancellato in un istante ogni Carta dei diritti del fanciullo, ogni Convenzione Internazionale sul bambino.
E così anche i leader dell’opposizione, sempre pronti alla critica verso l’azione di governo, tra uno sbaciucchio e una buonanotte ai loro figli, momenti postati con paterno orgoglio sui social network o rivendicati con agitati proclami sull’esser donna e madre, ecco anche loro sembrano affetti dallo stesso vuoto mentale che affligge i rappresentanti della maggioranza.
Se infatti qualcuno avesse avuto presente almeno il primo capitolo, l’incipit di ogni documento a tutela dell’infanzia, saprebbero che non esistono diritti degli adulti, dei genitori, dei nonni, degli insegnanti, esiste solo il diritto del bambino, l’anello più debole della catena sociale e se la forza di ogni catena sta nell’anello più debole, quella che stiamo costruendo in questi giorni di pandemia è una catena già rotta, già spezzata. Mentre scrivo, un nuovo decreto caldo caldo, appena sfornato, parla finalmente dei bambini: possono godere di una “breve passeggiata d’aria”, ma accompagnati da un solo genitore. Perchè uno solo, se l’altro vive nella stessa casa, quale rischio si cela nel regalare 15 minuti di vera normalità ad un bambino? La catena resta rotta.
Spezzata dalle storie che ci arrivano, dalle cronache di questo nostro paese in quarantena. C’è la storia di un padre che dopo giorni di isolamento domestico, porta suo figlio di 5 anni a fare un giro nel parco, un parco deserto, dove ci sono solo loro due, loro due e una pattuglia di poliziotti, pronti a multarlo, poichè alla domanda delle forze dell’ordine: “come mai si trova fuori casa?”, la risposta del padre “mio figlio aveva bisogno di uscire un po’ dopo giorni e settimane trascorse in casa”, non è stata ritenuta una valida motivazione ed è scattata la multa. Se invece della manina di suo figlio avesse stretto un guinzaglio, al massimo se la sarebbe cavata con la raccomandazione e l’invito a non allontanarsi dal domicilio e di rientrare il prima possibile.
C’è poi la storia dei fratellini rimasti soli in casa, dopo la morte della nonna e il ricovero della loro madre, sempre per Coronavirus e adottati dal loro paese, dalla comunità che fa loro la spesa e porta loro cibo. Certo un esempio di responsabilità, solidarietà e altruismo apprezzabili e commoventi, ma che celano un disastro: nessuno ha previsto, né organizzato la sicurezza e l’accudimento dei bambini, per nessuna delle emergenze che questo virus può determinare per i più piccoli. Nei supermercati sono stati chiusi i reparti di cartoleria e giocattoli, perchè sarebbe stato troppo concedere ai bambini la possibilità di trovare nella busta della spesa qualche pastello, qualche pennarello, quaderni colorati o un giochino, ogni tanto. E invece ogni articolo per bambini è stato derubricato e declassato come “non essenziale”, al punto che anche i quaderni per le attività scolastiche sono introvabili, perchè giudicati dai decreti, generi superflui!
Rassicurati dal fatto che i bambini sembrano essere gli unici immuni o in grado di aggredire questo virus e che quindi non sarebbero a rischio vita, come gli adulti, ci si è completamente dimenticati della loro salute psichica, del loro equilibrio e della loro sofferenza. Ma la sofferenza c’è ed è tanta. Sta nelle loro parole, nei pensieri che confessano a fatica, nelle emozioni che non sanno governare, nella totale assenza di ogni parvenza di normalità, anche quel poco che poteva essere previsto e garantito e non è stato fatto, come lasciare la libertà di una passeggiata di un quarto d’ora al giorno, fatta in sicurezza sanitaria, senza multe e senza terrore di infrangere la legge.
Ora si fa strada tra i diversi Ministri, psicologi e pediatri il dubbio che qualcosa manchi, che ci si è dimenticati di tutelare il necessario bisogno dei bambini di stare all’aperto e di poter giocare, di non dover completamente saltare una delle loro primavere.
Eggià siamo in primavera e guardare il sole dalle finestre può essere più doloroso che osservare le gocce di pioggia scendere sui vetri, senza pensare che la vitamina D, che si sintetizza al sole, sembri anche essere uno dei pochi antagonisti al Coronavirus. Ma il momento più delicato arriva la sera, prima di andare a dormire, quando insieme alle ombre arrivano le paure e le domande che rivelano l’angoscia che i bambini provano. “Mamma è tutto finito, non potremo più fare nulla, non tornerò più a scuola, non rivedrò la mia maestra, i miei compagni, è tutto finito. Andremo tutti in cielo e io in cielo non ci voglio andare, ho paura. Ho paura di non ritrovarti, di non vederti più. Il cielo è così grande”.
Noi genitori possiamo compiere sforzi, spiegare parlare, provare a rassicurare, ma sappiamo che non basta, che loro hanno bisogno di vedere, toccare. E allora in attesa che il Ministro per la Famiglia, quello per l‘Infanzia, le Politiche sociali, le Pari Opportunità e la Società Italiana di Pediatria rimedino alle loro insufficienti valutazioni, o amnesie, io oggi porterò mio figlio, un bimbo di 6 anni, sotto la finestra del suo migliore amico, perchè si salutino, anche se naturalmente da lontano, perchè non si guardino da un monitor, come animali, cuccioli in gabbia e siano certi di essere vivi e sani.
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