Nel giro di poche ore è scattata la prescrizione dei reati per i quali erano stati condannati in relazione a fatti di lotta armata degli anni ‘70 Maurizio Di Marzio e Luigi Bergamin. Entrambi facevano parte della lista consegnata dal governo italiano a quello francese, vicenda che aveva portato il 28 aprile scorso al fermo di nove persone a Parigi. Dalla mezzanotte di ieri beneficia dei tempi scaduti Di Marzio che non era stato trovato in casa il 28 aprile e che si era allontanato in attesa del 10 maggio, la data fissata per la prescrizione.

La sorte di Bergamin è stata decisa invece ieri pomeriggio dalla corte d’Assise di Milano che ha accolto il ricorso del difensore Giovanni Ceola. Il legale si era opposto all’escamotage individuato dalla procura generale del capoluogo lombardo. Bergamin era stato dichiarato “delinquente abituale” in modo da sospendere i termini della prescrizione nella speranza di supportare l’arresto ai fini dell’estradizione dalla Francia. L’iniziativa della procura generale appariva subito singolare perché decisa a oltre 40 anni dai fatti per cui Bergamin era stato condannato. Dubbi venivano espressi anche in Francia e non solo dal difensore Irene Terrel ma anche dai funzionari della gendarmerie e dai magistrati.

La scelta della corte d’Assise taglia la testa al toro. La procura generale aveva pensato di procedere allo stesso modo anche per Di Marzio per poi ritornare sui propri passi, considerando le critiche espresse in relazione al percorso fatto per Bergamin. La corte milanese ha spiegato che è venuto meno l’interesse dello Stato all’esecuzione della pena dato il tempo trascorso. I giudici hanno preso atto dell’inesistenza di una particolare condizione di pericolosità sociale del condannato. Si tratta di una motivazione che dovrebbe valere per tutti i fermati dell’operazione pomposamente denominata “ombre rosse” e che ha costretto un po’ tutti a fare un salto indietro nel passato.

L’iter per le estradizioni degli altri sette proseguirà nel prossimo mese di giugno davanti alla corte d’appello di Parigi con le decisioni che potrebbero arrivare a distanza di molti mesi se non di anni. Gli avvocati dei rifugiati hanno diverse carte da giocare e la possibilità di altri ricorsi prima dell’ultima parola che spetterà al presidente Macron. Magari in un momento in cui non avrà più bisogno di alimentare il bisogno di “sicurezza” al fine di sottrarre consensi alla signora Lepen.