La scelta di Tim Walz come vice da parte di Kamala Harris non era imprevedibile, perché Walz ha esperienza e gode di buona considerazione tra gli addetti ai lavori, ma nemmeno era la soluzione più probabile alla vigilia. Davanti al nome di Walz ce ne erano almeno altri cinque maggiormente quotati: il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, quello dell’Illinois JB Pritzker, quello del Kentucky Andy Beshear, il governatore del North Carolina Roy Cooper e il senatore dell’Arizona Mark Kelly. Quando un outsider sopravanza i favoriti è sempre un fatto interessante, che al netto della bontà della scelta – quella si valuta a posteriori – è segno di una cultura “della possibilità”, o anche “dell’opportunità” che è propria dei sistemi cosiddetti vitali e che da sempre permea quello statunitense.

Il tema della possibilità è articolato: può trattarsi della cosiddetta “seconda chance”, quella di rimediare a un precedente errore, che è un pilastro etico americano; altre volte invece – come nel caso di Walz – è una specie di dono del destino, che il beneficiato dovrà meritarsi sul campo. La politica di Washington non è nuova a questo tipo di situazioni. Resta insuperato il viatico alla presidenza di Gerald Ford, chiamato prima a sostituire il vicepresidente designato alle elezioni del 1972 – Spiro Agnew – e poi addirittura il presidente Nixon in seguito alle dimissioni per il Watergate: in pratica Ford arrivò alla Casa Bianca senza alcuna legittimazione popolare, per il solo verificarsi di due eventi eccezionali e verosimilmente irripetibili. L’ascesa di Ford superò persino la fantasia dell’industria cinematografica di Hollywood, che per questo tipo di storie ha dimostrato, nel tempo, una certa attenzione.

Due pellicole più di altre, entrambe dell’inizio degli anni Sessanta ed entrambe interpretate da Henry Fonda, volto morale del cinema americano, toccano con originalità la questione. La prima è “Advise and Consent” (“Tempesta su Washington”) di Otto Preminger, del 1962, in cui un presidente malato e ormai morente indica un nuovo segretario di stato sul quale tuttavia non c’è consenso a causa delle sue idee di politica estera, ritenute troppo di sinistra. La seconda, “The Best Man” (“L’amaro sapore del potere”), del 1964, racconta dello scontro tra una coppia di candidati alle primarie di quello che si suppone essere il Partito Democratico. Anche qui c’è un presidente malato e prossimo alla fine che tarda a scegliere il proprio successore tra due politici e uomini completamente diversi. Il filo conduttore che attraversa entrambe le vicende è quello del ricatto, oggetto del quale è sempre il passato dei personaggi interpretati da Henry Fonda: iscritto a un’associazione comunista il primo, malato di depressione (quindi inaffidabile per le idee dei tempi) il secondo.

Non toglie interesse alla visione – per chi avesse voglia di guardarli – sapere che tanto in “Advise And Content” che in “The Best Man” a prevalere sono infine terzi soggetti, più o meno fuori dai giochi, e che a tale fine avranno un ruolo decisivo l’etica e il senso di responsabilità dei protagonisti, capaci di fare un passo indietro. In un certo senso anche il ritiro di Joe Biden in favore di Harris sembra in linea con il tipo di storia e di etica politica in questione, ma nel suo caso l’unico ricatto possibile è quello del tempo. Pur datati, nella trama di questi vecchi film c’è un elemento che permea tuttora il nostro contemporaneo, che nel mondo anglosassone viene definito “character assassination”, ovvero il deliberato tentativo di danneggiare la reputazione di un individuo. Oggi, in un mondo molto più mediatico, ciò accade a mezzo di fenomeni diffusi e spesso, almeno in parte, spontanei come le “shitstorm” sui social.

Ma screditare il prossimo o minacciare di screditarlo resta il leitmotiv di una politica eufemisticamente definita come “muscolare”. Per questo anche sul passato e sul percorso personale dell’outsider Walz si stanno alzando le antenne dell’intelligence e della propaganda trumpiana: in mancanza di scandali o inciampi significativi si accontenteranno di descriverlo come un pericoloso radicale di sinistra, quel che non è. In ogni caso la morale di questo gioco al massacro non è cambiata nel tempo, e quei due film ne davano una corretta rappresentazione: si possono uccidere le ambizioni di un uomo con il veleno dello stigma, ma in genere a screditare si finisce screditati.

Gabriele Molinari

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