Il caso
Luana D’Orazio non ha finito il suo turno di lavoro, succede…

I telai erano navi meravigliose, da ferme solcavano oceani infiniti, ancorate in stanze profumate in cui le donne svelavano segreti inauditi. Un regno delle favole in cui l’odore della fatica era attenuato dai racconti delle fiabe che rilasciavano nell’aria parole più veloci delle spolette che volavano da una sponda all’altra per unire la trama all’ordito e disegnare tele meravigliose: tappeti, coperte, lenzuola. Un mondo colorato, vivo solo nelle memorie più longeve.
Luana non lo ha mai conosciuto quel mondo, il suo orditoio era una macchina che i fili li divorava insaziabile, immersa in un clangore infernale: una dittatrice dalle regole ferree, che non ammette errori, distrazioni.
Lei lavorava da un anno nell’azienda tessile, D’Orazio Luana, in provincia di Prato, a Oste di Montemurlo. È finita nell’ingranaggio dell’orditoio, la macchina che permette di preparare la struttura verticale della tela che costituisce la trama del tessuto. Aveva 22 anni, da 5 anni era madre di un bambino, e da 5 anni non lo aveva più un mondo delle favole, il suo mondo era diventato quello del lavoro, da un anno il suo mondo era la fabbrica tessile, senza che ci ascoltasse dentro racconti fiabeschi. Il rumore non ce la faceva a nascondere l’odore della fatica. Dicono che sarebbe rimasta impigliata nel rullo del macchinario a cui stava lavorando, che sia stata trascinata dentro, inghiottita quasi. E quasi, nessuno se ne è accorto, se non quando era troppo tardi, se non quando tutto era finito, la sua vita irrimediabilmente persa.
Accade, accade spesso agli operai di non finirlo il turno di lavoro, di restarci nel posto di lavoro, e comunque accada è sempre terribile, e comunque accada non è mai per caso, non è mai il fato. Quasi sempre è la mancata cura di una vita affaticata, il mancato rispetto delle norme di sicurezza, il ritmo disumano della produzione. Le distrazioni di una società miope che insegue da un lato i diritti civili e non vede l’assenza dei diritti sociali: gli operai volano giù dai tetti, e non le hanno le ali; si lasciano sotterrare dai crolli senza avere spalle a petto per sorreggere i tetti. Si lasciano mangiare dalle macchine senza curarsi degli orfani che lasciano, senza pensare che abbandonano figli a cui nessuno racconterà fiabe. Luana era diventata grande in fretta, a 17 anni era già una madre bambina. A 20 era un’operaia bambina, troppo piccola per affrontare una macchina che le sarebbe diventata spietata alla più lieve distrazione. Lei era di un filato speciale, delicato, come sono di seta tutti gli operai. Tessuti di cui si ha sempre meno cura.
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