Di fronte all’ennesima morte di un ragazzo di appena 17 anni, carnefice e vittima allo stesso momento, non si può rimanere indifferenti, né lasciare che il lutto della perdita violenta di un figlio resti un dolore privato di una mamma e di una famiglia. Sarò netto: non ci sono alibi per la famiglia di Luigi. Lì si è consumata una prima rottura educativa e sociale. Ma non ci sono alibi tanto più per le istituzioni pubbliche: scuola, educatori, uomini e donne preposte alla nostra sicurezza. Non ci sono alibi per noi che siamo chiamati a governare società cosi ferite.

C’è una sconfitta che non può essere archiviata facilmente in una città che per troppe volte si è trovata di fronte a questi dolori. Che fare? La risposta non è delle più semplici. Suggerirei di ricominciare dalle domande che spesso ci dimentichiamo di fare, dalle realtà che ci ostiniamo a non voler vedere. Napoli e la Campania sono oggi il luogo a più alto rischio di povertà in tutta Europa. Un record su cui tendiamo a glissare, perché chiama ognuno di noi a delle responsabilità precise e non più rimandabili. Perché qui la povertà materiale si combina a una grave povertà educativa per intere generazioni di ragazze e ragazzi.  In questi anni, abbiamo assistito a una spaventosa omologazione verso il basso: tutti e tutte ascoltano la stessa musica, vivono di comportamenti sopra le righe, usano un linguaggio triviale e violento. Si leggono pochi libri, c’è un’altissima evasione scolastica e una dequalificante offerta di lavoro.

Eppure sfioriamo il record di motorini e macchinette per adolescenti, forse come nessuna città europea. Insomma è un modello che abbiamo assecondato e facilitato nella totale deresponsabilizzazione delle famiglie, fino alle parrocchie e soprattutto alle scuole. Tutto questo è accaduto nella totale indifferenza, senza alcun freno. Al tempo stesso ai migliori, quelli che non hanno rinunciato allo studio e alla cura di sé, abbiamo raccontato che l’unica alternativa era andare fuori, spendersi fuori dalla propria città.  Per un figlio della borghesia era una necessaria concessione alla modernizzazione globale, mentre per i giovani dei quartieri periferici si è presentata come l’unica possibilità per un futuro più sicuro. Così la città si è svuotata.

Non vi è stata alcuna resistenza. Solo: oblio, parole vuote, istituzioni sorde e ignoranti. Bisogna ricominciare dalle ceneri di questa beffa. Ricostruire un modello di vita, di studio e di cura di sé diverso da quello corrente, attraverso una mobilitazione civile che parta dal basso. Come dice Papa Francesco, una politica non solo per gli ultimi. ma con gli ultimi e degli ultimi. Dobbiamo lanciare un’opera di civiltà graduale, lenta e profonda, ma inesorabile. Solo una grande alleanza civile può darsi un obiettivo del genere. Insieme alle famiglie, agli educatori, alle Chiese, alle organizzazioni sociali. Sullo sfondo, sarà necessario il protagonismo di istituzioni rinnovate e attente. Bisogna aprire una stagione di responsabilità collettiva, coltivando però anche esempi positivi e controcorrente, per porre un freno netto all’incultura imperante.

Penso alle tante realtà di associazionismo presenti a Napoli, che sono il volto luminoso di una città che resiste, che ha bisogno di fare rete per vincere la sfida contro tutte le forme di oppressione e di sfruttamento che esistono in città. Compresa la più ostica: la cultura della prevaricazione come strumento di autorealizzazione. Ricostruendo simbolicamente eroi positivi, dando risorse e capitale umano alla scuola, accompagnando tutte e tutti al successo negli studi – attraverso l’impiego di risorse ed energie pubbliche – porremo le condizioni per invertire la rotta, per fare emergere una Napoli che non avrà più bisogno né di martiri, né di eroi.