Luis Enrique lo ha detto chiaro e tondo che in finale tiferà per l’Italia. “Sono felice per quello che ho visto. Ho goduto di una partita di alto livello con due squadre forti che cercavano di giocare un bel calcio, è stato uno spettacolo per i tifosi. Voglio fare i complimenti all’Italia, spero che in finale possa cercare di vincere questo Europeo. Tiferò per l’Italia, impossibile non amarla”, ha detto a fine partita l’allenatore della Spagna. La prima semifinale di Euro 2020 è finita a i rigori, 5 a 3 per gli azzurri. Le “Furie Rosse” hanno giocato la partita migliore della loro competizione, imprendibili in alcune fasi del match, ma non è bastato. La Spagna esce “con honor” come ha titolato Marca.

Nessun rimpianto per l’ex allenatore del Barcellona e della Roma tra le altre. Formazione a sorpresa la sua, con Dani Olmo punta, “falso nueve”, al posto di Alvaro Morata; una scelta maturata dopo aver visto “Chiellini e Bonucci con Lukaku contro il Belgio e ho pensato che forse sarebbe stato meglio giocarla senza attaccanti. È stata una mossa importante per noi, abbiamo potuto superare il pressing azzurro”. E ha avuto ragione. Olmo è stato incontenibile per tutto il match, nonostante abbia poi calciato alto alla lotteria dei rigori.

L’Europeo della Spagna era partito male: due punti in due gare, un solo goal segnato. Critiche a fiumi per l’allenatore asturiano, 51 anni, che ha composto una Selezione per la prima volta senza calciatori del Real Madrid. Un possesso palla sterile, anche fino al 70%, ma con poche e spesso trascurabili conclusioni. Quindi la svolta con la Slovacchia, 5 a 0, e passaggio agli ottavi. Quindi due volte i rigori, con la Croazia e con la Svizzera, prima della semifinale di Wembley. Una partita che ha lasciato delusi gli spagnoli ma anche la consapevolezza di una nuova generazione di atleti che può ripartire dopo la fine di un’era straordinaria, con fuoriclasse straordinari, con due Europei e un Mondiale consecutivi tra il 2008 e il 2012.

La carriera

“Lucho” ha lasciato il calcio nel 2004, con la maglia del Barcellona. Quattro anni dopo è tornato in blaugrana da allenatore, nella Ciudad Condal, della seconda squadra. Quindi nel 2011 è arrivato alla Roma, sulla scia del “guardiolismo”, dove non è andato oltre il settimo posto e che ha lasciato dopo un anno. Due anni dopo di nuovo in Spagna, al Celta Vigo, per una stagione che ha convinto di nuovo il Barcellona a riportarlo in Catalogna. La prima volta era arrivato nel 1995/1996, dal Real Madrid dov’era stato allevato da Jorge Valdano che l’aveva strappato allo Sporting Gijon per 250 milioni di pesetas. È in blaugrana che Luis Enrique è diventato un campione, con Bobby Robson e Van Gaal in panchina. Ha segnato 35 gol nelle sole prime due stagioni.

Il ricordo più vivo degli italiani è quello di USA ’94, ai mondiali, quando ai quarti di finale – vinti dagli Azzurri 2 a 1 – Mauro Tassotti gli rifilò una gomitata al naso. Ed è sempre contro un’italiana, la Juventus, che si è consacrato da allenatore. Con il Barcellona ha vinto tutto al primo tentativo: Liga, Coppa del Re, Champions League contro i bianconeri – 3 a 1 a Berlino. È riuscito a far convivere e a rendere sostenibile quello che è considerato da molti il più grande tridente mai visto su un campo di calcio: Messi, Suarez, Neymar. L’anno dopo con il 6 a 1 al Camp Nou, dopo lo 0 a 4 al Parco dei Principi, ha partecipato alla più grande rimonta negli ottavi di Champions ai danni del il Paris Saint Germain.

La tragedia della figlia Xana

Luis Enrique è arrivato sulla panchina della Spagna nel 2018. Ha lasciato l’incarico nel mezzo delle qualificazioni per Euro 2020, durante una trasferta a Malta. Quei motivi familiari riguardavano la figlia, Xana, otto anni appena, malata di un tumore alle ossa. La tragedia nell’agosto del 2019, dopo anni di lotta contro la malattia. “Nostra figlia Xana è deceduta questo pomeriggio all’età di 9 anni dopo aver combattuto per cinque intensi mesi contro l’osteosarcoma. Ringraziamo tutti per i messaggio d’affetto ricevuti durante questi mesi e apprezziamo la discrezione e la comprensione – scrisse in quell’occasione il tecnico – Ci mancherai moltissimo, ma ti ricorderemo ogni giorno della nostra vita nella speranza che in futuro ci incontreremo di nuovo. Sarai la stella che guida la nostra famiglia. Riposa Xanita”.

Il futuro

A novembre dello stesso anno Luis Enrique è tornato sulla panchina della Spagna. Prima decisione: fuori dallo staff il suo ex amico e vice Moreno, che aveva conquistato il pass per Euro 2020 nel frattempo, e che avrebbe voluto continuare a ricoprire quel ruolo. Durante l’Europeo l’allenatore ha protetto la squadra, obiettivo di numerose critiche, e in particolare Morata, oggetto anche di minacce di morte per la sua poca incisività in alcune fasi. Il tecnico ha lodato i senatori Sergio Busquets, Jordi Alba e Koke e gli atleti che non hanno giocato neanche un minuto. Ha dato 9 alla sua squadra. “Qualcuno ha visto l’Europeo che ha giocato un bimbo di 18 anni come Pedri? Neanche Iniesta è stato capace di tanto”, ha dichiarato a fine partita sottolineando che la squadra ha finalmente un futuro dopo anni di ricostruzione appena abbozzata. “Volevamo creare una squadra oltre l’età e i giocatori e i club nei quali giocano. Si impara più nella sconfitta che nella vittoria”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.