Il Patto e la scelta del nuovo Presidente
L’ultimo saluto di Mattarella e il patto di stabilità
Domani sera ascolteremo l’ultimo discorso di fine anno da Capo dello Stato di Sergio Mattarella. Non è nel suo stile immaginare lasciti politici ereditari. È l’intero suo settennato il testimone che egli passa al successore. Non manca, però, chi, in queste ultime ore, ipotizza ancora un ripensamento di Mattarella che lo porti ad accettare un nuovo mandato al Colle, chi addirittura si augura che la prosecuzione gli sia richiesta da Mario Draghi e chi,
paradossalmente, spera in un aggravamento ulteriore della situazione pandemica in modo che si configuri uno “stato di eccezione” che possa indurre l’attuale Presidente a rivedere la sua scelta. Questa, tuttavia, appare irrevocabile a quanti conoscono bene la fermezza e la solidità di Mattarella, il suo essere “hombre vertical”, il cui “sì” è “sì” e il “no” è “no”. Nel frattempo, altri rilanciano la tesi della staffetta con un successore di Mattarella che lascerebbe la carica dopo 2/3 anni, sulla base di una programmazione della permanenza al Quirinale che, per quanto tacita o segreta, rappresenterebbe un “ vulnus” della Costituzione. Tutto ciò non significa che il Capo dello Stato si asterrà dall’affrontare temi cruciali, a cominciare dagli sviluppi della pandemia, per passare alla politica economica e di finanza pubblica, alle politiche sociali e, non per ultime, a quelle europee.
A quest’ultimo riguardo, dopo l’uscita dell’articolo sul Financial Times a firma Macron-Draghi sulla riforma delle regole economiche comunitarie con particolare riferimento al Patto di stabilità, un gruppo di lavoro coordinato dall’economista Francesco Giavazzi ha redatto un progetto che si fonda sulla costituzione di un’Agenzia europea per il debito che assorbirebbe le esposizioni dei singoli Paesi dovute al covid per cinque anni, dal 2022 al 2026. Per l’Italia si tratterebbe del 19,2 per cento del Pil. Rapporti si instaurerebbero tra l’Agenzia e la Bce. Quanto alle altre regole, sarebbe abrogata quella del Fiscal compact che prevede l’obbligo di ridurre di un ventesimo ogni anno il debito eccedente il 60 per cento del Pil e si stabilirebbe un obiettivo per il rapporto debito-Pil da conseguire in dieci anni, ponendo un tetto alla spesa primaria e introducendo la “golden rule” per alcuni tipi di investimenti pubblici che sarebbero esclusi dal vincolo del pareggio di bilancio (ma quest’ultimo resterebbe in vigore?).
Il lavoro è interessante, ma è chiaro che esso si rifà alla mole di progetti predisposti nel corso degli anni per la riduzione del debito e per la sua collettivizzazione, almeno in parte. Intanto, si parte con un’autolimitazione al 19 per cento per il debito da mutualizzare con l’Agenzia, con una “golden rule” che riguarderebbe solo alcuni tipi di investimenti e con un tetto alla spesa primaria del quale andranno valutate le ricadute. In effetti, si cerca di dare una certa concretezza alle frasi generiche riportate dal Financial Times, ma vi sarà ancora da lavorare sotto il profilo tecnico-istituzionale. Se, poi, il progetto includesse, come sembra, anche il Ministro delle Finanze (o Tesoro) unico europeo, l’esigenza di valutare attentamente la proposta sarebbe ancor più forte, dal momento che una tale costituzione non può prescindere da “pesi e contrappesi” riguardanti le altre istituzioni comunitarie (Europarlamento, Commissione, Consiglio) e, soprattutto, i rapporti con i singoli Paesi e con la rappresentanza politica dei cittadini europei. Se si deve trattare della compartecipazione, ad opera dei singoli partner, all’esercizio della sovranità a un più alto livello, non di perdita di sovranità, allora l’istituzione del solo Ministro anzidetto non solo non sarebbe sufficiente, ma addirittura potrebbe creare squilibri istituzionali e nella rappresentanza.
Tuttavia, non bisogna fare i conti senza l’oste. Il progetto compiuto è una condizione preliminare. Ma poi la scelta sarà politica. Allo stato, i Paesi cosiddetti frugali sostengono che non di riforma delle regole c’è bisogno, ma di accentuare semmai la flessibilità senza toccare il Patto di stabilità. Ciò segnala sin d’ora l’importanza di una vasta azione diplomatica per tentare le necessarie convergenze europee, anche con le mediazioni che saranno ineludibili. Se, comunque, questi sono gli ostacoli da superare, allora il progetto dovrebbe ancor più salire di livello e di organicità, oltre al chiarimento degli aspetti accennati. Nella Conferenza in corso sul futuro dell’Europa andrebbero messi alla prova alcuni degli obiettivi che si intendono conseguire. Ma finora stanno agendo i tecnici.
Quando questa materia passerà alle valutazioni del Governo? E non è questa una – ovviamente non la sola – delle principali ragioni perché l’Esecutivo proceda nella continuità, essendo il 2022 l’anno della riforma del Patto in questione la cui sospensione cessa il 31 dicembre del prossimo anno? Non è questo della rivisitazione del Patto un importante motivo perché le forze politiche in Parlamento abbiano uno scatto di indipendenza intellettuale e di propositività valutando il nuovo Presidente della Repubblica da eleggere svincolato dalla sola ritornante scelta dell’uomo solo al comando e sostenendo la continuità del Governo? Domani sera i partiti, come i cittadini, ascolteranno con grande attenzione il discorso di Mattarella e si spera che ne traggano un orientamento come sempre sicuro ed efficace.
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