Di empatia ce ne ha messa poca. Però è stata pragmatica. Del resto non è scritto da nessuna parte che una brava amministratrice debba far tremare i polsi a chi la ascolta. Ursula von der Leyen incassa l’ok dell’europarlamento con un programma che rispecchia alla lettera l’Europa che lei vuole rappresentare. Politicamente corretta, impermeabile a qualsiasi confronto con il mondo che non le piace. Ed è appunto come una brava amministratrice che la Presidente confermata vuole governare i cinque anni a venire. La Ceo, dallo sguardo assertivo e le nuance pastello, di una multinazionale composta da un azionariato diffuso, tra elettori, forze produttive ed Ngo ai quali non si può dire di no, progetti tutti in fieri, Green Deal per primo, concorrenti affidabili quanto sleali, ma anche sabotatori interni (Orban).

Conti alla mano, von der Leyen è passata, ma senza conquistare i cuori della destra di Ecr. Le avrebbero fatto comodo, non li ha palesemente raccolti. I 401 consensi l’hanno fatta andare oltre la soglia minima dei 360. Ma senza il sostegno dei 50 Verdi, la maggioranza di Popolari, Socialisti e Liberali si sarebbe fermata a 354 voti. La Presidente è stata promossa, ma con una sufficienza che non le permetterà di dormire sonni tranquilli.
Con il suo programma tutto sommato laconico, von der Leyen promette continuità. L’elemento nuovo è dato invece dalla squadra di governo, i cui nomi restano coperti, ma non le deleghe.

Il Green Deal da adattare

Per von der Leyen il cammino fin qui fatto non si può interrompere. Il Green Deal potrà essere adattato (poco) al corso degli eventi. Ma sarebbero le imprese, dopo anni di investimenti e sforzi, le prime a opporsi a un’inversione di rotta. «Questa sarà una Commissione europea degli investimenti». È l’apertura che von der Leyen fa alle forze produttive, implicitamente in linea con la Dichiarazione di Anversa, documento sconosciuto più o meno a tutti, anche se firmato a febbraio scorso da 73 capi d’impresa europei, provenienti da 20 settori industriali di base e che si presenta come un Industrial deal a supporto della transizione ecologica. Investimenti quindi, a sostegno delle Pmi, soprattutto agricole, della neutralità tecnologica e della transizione digitale. Ma anche cybersecurity, semplificazioni burocratiche e revisione dei trattati.

Il piano

Von der Leyen si è resa conto che, nella scorsa legislatura, aveva corso troppo ascoltando quel sentiment anti industriale che, cinque anni fa, era in effetti più vivo rispetto a oggi. Come è altrettanto consapevole che la democrazia europea è sotto attacco. Una minaccia internazionale composta da attori geopolitici, cibernetici e, peggio ancora, membri stessi dell’Unione. Il solo momento in cui von der Leyen ha alzato la voce si è avuto con l’attacco diretto a Orban e al suo recente “tour del male”. E poi ci sono i commissari. Difesa, Mediterraneo, alloggi, equità generazionale, uguaglianze, risorse marine e oceani, allargamento. Nuove poltrone con cui la Presidente mira all’amicizia di interlocutori strategici: Macron per la difesa, Meloni per il Mediterraneo. Nonostante il voltafaccia di quest’ultima last minute. Gli altri incarchi hanno più il sapore verde-progressista e confermano che, appunto, von der Leyen cambia rispetto al 2019, ma non di molto.

Da allora però il mondo è un altro. E non solo per il Covid, che aveva frustrato fin dai primi vagiti le ambizioni più sensazionali del Green Deal. All’immigrazione ingestibile, al cambiamento climatico e alla globalizzazione spietata – in cui la nostra industria è sempre schiava di energia e commodity che dobbiamo comprare da regimi non proprio trasparenti – oggi si sono aggiunte criticità e drammi non da poco. Putin, Gaza, la Cina che medita ritorsioni per i dazi sulle sue auto elettriche e, da novembre prossimo, magari anche Trump. C’è un lungo elenco di dossier che l’Ue deve affrontare unita, ma che non è detto così sarà all’atto pratico. Tuttavia, la manager elegante, che parla con toni pacati, è convinta di avere le idee chiare. È uno stile. Che poi vada bene per tutte le stagioni sarà da dimostrare.

Antonio Picasso

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