Al centro
L’unico futuro per il Terzo Polo è lontano dal campo largo del Pd
Caro direttore,
nelle ultime settimane, a seguito delle elezioni europee, ho letto con molto interesse le sollecitazioni riportate sul suo giornale rispetto al campo riformista e ai nuovi possibili scenari; per questo, nella mia qualità di tesoriere e responsabile giovani della segreteria regionale di Italia Viva Campania, sento il bisogno di scriverle per condividere una riflessione che possa dare nuova linfa alla discussione sul futuro dei riformisti, iniziando, chiaramente, dai giovani riformisti del Mezzogiorno. Il risultato delle ultime consultazioni ci ha consegnato uno scenario bipolarizzato, dove i riformisti italiani non saranno rappresentati al Parlamento Ue per l’assoluta irresponsabilità della classe dirigente nazionale.
Nonostante, infatti, nella mia regione, la Campania, la lista Stati Uniti d’Europa abbia raggiunto quasi il 7 % e Azione con altre liste collegate abbia raggiunto il 3,8 %, per un totale di oltre 200 mila voti, la scelta di correre divisi, frutto di un ennesimo azzardo personalistico dei leader Calenda e Renzi, non ha ripagato, allontanando il consenso su base nazionale e impedendo il superamento della soglia di sbarramento. Ora, la domanda che ci poniamo noi giovani riformisti è: “Come ripartire?”. Davanti a noi si aprono due scenari diversi: ricostruire il Terzo Polo con un terzo nome oppure scegliere di essere la “Margherita 2.0” (citando Matteo Renzi) o meglio, come penso, diventare la nuova Udeur.
Sia chiaro, con assoluto rispetto nei confronti della storia del partito guidato da un politico stimato e di lungo corso come Clemente Mastella che, però, non ha mai avuto percentuali nazionali vicine alla doppia cifra. Scegliere di essere riformisti con il dogma assoluto di essere sempre e comunque parte della coalizione di centro-sinistra, secondo mio modesto avviso, renderebbe la proposta politica riformista subalterna a quelli che sono i trend topic indicati dal Partito democratico, una morte politica annunciata perché tra il Pd e la sua copia sono consapevole che gli elettori e anche i militanti sceglierebbero l’originale schierandosi in una delle correnti dei dem. Sono ben consapevole che in “realpolitik” questa scelta della Margherita 2.0 porterebbe, nel breve termine, probabilmente a far parte delle coalizioni vincenti alla prossima tornata elettorale per le regionali (Umbria-Emilia Romagna e Campania) e in futuro a garantire una piccola “pattuglia” in Parlamento per una cerchia ristretta dei dirigenti nazionali del partito, ma tutto questo può bastare dopo che dal 2019 abbiamo scelto di intraprendere un percorso diverso che si ispirava all’ Ensemble di Macron in Francia?
Ecco, la risposta per me è chiara: no, perché essere una costola minoritaria del campo largo a guida Pd non può essere la vocazione di chi ha creduto nella stagione delle riforme del Governo Renzi e dei suoi interpreti fra i quali, ahimè, lo stesso Carlo Calenda. Certo, la strada è lunga, lastricata di difficoltà per i personalismi, ma deve essere intrapresa per creare la possibilità che i contenuti in un contenitore strutturato, organizzato e bene delineato sui territori possano creare la dignità politica e del consenso che dia la possibilità nel 2027 di decidere da che parte stare, con l’obiettivo di governare l’Italia con le forze politiche che non si riconoscano nel sovranismo antieuropeista e contro gli interessi del Mezzogiorno. L’opportunità più importante per riunire le forze di opposizione riformiste non solo è stata creata dal governo Meloni con la sciagurata legge sull’autonomia differenziata che, nonostante il suo autorevole parere direttore, può essere la scintilla, così come è avvenuto per il tripartito Pd-Avs-M5S, per iniziare un dialogo e una rinnovata collaborazione che porti alla nascita della casa di Renew in Italia.
E questo, sia chiaro, non ha nulla a che vedere con la foto scattata giorni fa al deposito delle firme alla Suprema Corte di Cassazione, dove tra Landini e Fratoianni c’era Maria Elena Boschi, le cui storie sono troppo diverse e ideologicamente lontane per essere credibili agli occhi dell’elettorato, cosa che invece potrebbe accadere con un’alleanza basata sul rispetto reciproco delle proprie posizioni su un programma di governo chiaro, programmatico e lontano dalle mere sfide ideologiche come l’illogica battaglia contro il Jobs Act. Concludo, ringraziandola per questo spazio, con l’auspicio che per una volta siano i dirigenti nazionali ad ascoltare davvero i giovani riformisti che chiedono a gran voce una casa unitaria dove condurre le battaglie e le riforme che garantiscano un Paese sempre più moderno e sempre più pronto alle sfide imposte dai tempi difficili, ma belli e affascinanti che stiamo vivendo.
© Riproduzione riservata