Oggi tutto è cambiato, radicalmente cambiato, niente è più come prima. Una gigantesca ristrutturazione dell’economia e del lavoro, per non parlare degli effetti della sconfitta del movimento operaio, ha determinato quel processo di riorganizzazione della produzione che importanti studiosi hanno definito di centralizzazione (del potere dell’impresa) senza più concentrazione (dei lavoratori nei luoghi della produzione). Nella catena del valore, su questa asimmetria di potere, è stato costruito il nuovo dominio del profitto.

Eppure esso non è inevitabile, ci dicono queste nostre giornate di primavera. A questo abnorme potere concentrato può opporsi un contropotere diffuso che si può costituire in un singolo evento, come nello sciopero, o in un processo di accumulazione di forze critiche. È sabbia nell’ingranaggio, in quell’ingranaggio che genera spoliazione e sfruttamento. Quando accade è festa grande, perché dice che si può. Ma un filo d’erba non fa la primavera. Primavera è il nome che hanno preso, in tante parti del mondo, le rivolte del nostro tempo. Bisognerebbe, almeno, che il filo d’erba non fosse sopraffatto dal deserto. Perciò esso ha bisogno di cura.

La cura necessaria si chiama lavoro politico. Per cominciare, fuor di metafora, qui da noi, quante sono, cosa sono e dove sono le esperienze creative e critiche che già esistono? Esse possono riguardare il campo del conflitto sociale, come quello dell’organizzazione sociale, come quello dei diritti della persona, come quello dell’ambiente, della natura. Continua a sembrarmi incredibile che, nel tempo dell’informazione invasiva e pervasiva, non si sia ancora prodotta una mappa delle esperienze che potrebbe disegnare la base del lavoro politico da intraprendere, la base di una nuova critica pratica dell’ordine capitalistico esistente. Si metterebbe in evidenza ciò che si può intravedere cercando in ricerche, studi, indagini, testimonianze sparse. Si vedrebbe che quel filo d’erba nel deserto non è il solo, che altri sono cresciuti nella stessa solitudine sociale e politica.

L’accumulo di questa conoscenza è il fondamento necessario di un nuovo sapere sociale, condiviso e critico. L’inchiesta non è, oggi, una citazione di preziose storie del passato, non è né la riproduzione di quella di Marx, da cui tutte hanno imparato, né la ricopiatura della ricerca di Panzieri e dei Quaderni rossi. Sebbene andrebbe confessato il debito nei confronti sia dell’una che dell’altra e di altre ancora. L’inchiesta partecipata da chi vive la condizione sociale indagata è una forma di lotta necessaria, indispensabile in una frase di cambiamento, di ristrutturazione dell’economia, del lavoro, delle culture e della politica. L’inchiesta è sempre utile, diventa indispensabile quando si tratta di ricominciare. Si tratta di indagare, allora, criticamente, le nuove forme di spoliazione e di sfruttamento del lavoro e dell’uomo, di leggere, insieme ai diretti interessati, le forme di resistenza e di contestazione. Si tratta di metterle in relazione con i protagonisti delle lotte e delle esperienze di autogoverno, confrontando esperienze, saperi, difficoltà e speranze.

Costruire la mappa di tutte le esperienze che si affacciano faticosamente nella società è la prima forma di socializzazione e della loro politicizzazione. Solo su questa base riconosciuta e partecipata può prendere corpo e vita, oltre alle meritorie ricerche di singoli studiosi, la necessaria ripresa di un lavoro teorico di critica sistematica dell’attuale capitalismo, delle sue nuove forme statuali e di potere, delle sue politiche economiche e sociali, del suo assetto istituzionale, delle forme di consenso passivo che in esso vengono promosse insieme alla destrutturazione del conflitto e alla sterilizzazione della critica. Prenderebbe forza allora la denuncia del carattere totalitario del nuovo capitalismo. E a ciò che vi si oppone verrebbe restituita la possibilità di inscriversi in un processo di liberazione e per un’alternativa di società. Su una base riconosciuta di esperienze di lotta e critiche e sull’avvio in esse di un lavoro teorico condiviso si potrebbe tornare a scrivere la definizione di socialista per una soggettività politica che volesse nascere fuori e lontano dalle macerie della sinistra politica-istituzionale.

In definitiva, la tesi che qui si vuol sostenere è che la mappa critica e l’inchiesta sociale condivisa non sono un recupero della sociologia per ripararsi dal fallimento della politica, ma il terreno proprio, qui e ora, per la rinascita di una politica di alternativa, per contribuire a un processo costituente di nuove forme di organizzazione sociale e di nuove istituzioni, per favorire la possibilità che l’insieme delle esperienze critiche raggiunga la forza che fino a ora, nel nuovo ciclo storico, solo la rivolta ha conseguito. Essendo quest’ultima imprevedibile, conviene intanto applicarsi affinché il filo d’erba si irrobustisca e si espanda evitando che il deserto lo sovrasti. Così la costruzione della mappa e la messa in opera dell’inchiesta sarebbero già un aiuto alla sua crescita. Sul loro uso nella storia degli oppressi e nel mondo non mancano i casi di scuola.

Senza il famoso La situazione della classe operaia in Inghilterra di Friedrich Engels e il suo uso politico (si noti “La situazione”) dubito che le Unions e il Partito laburista avrebbero potuto vivere le esperienze di lotta e di riforma sociale che hanno segnato per un lungo periodo la lotta di classe in Gran Bretagna. Ancora più perentorio è stato Mao Tse-tung che ammoniva «chi non fa l’inchiesta non ha diritto di parola». Lo diceva nella Lunga marcia per conoscere e cambiare le zone liberate. L’inchiesta, dunque, non è senza padri e madri nella storia del movimento operaio, nel mondo e in Italia, perciò è possibile attingere a degli insegnamenti, ultimi quelli degli anni ’70, degli operai nelle grandi fabbriche. L’inchiesta sorge come necessità oggi a fronte di nuovi conflitti e di nuove esperienze sociali e alla loro solitudine. Alla loro socializzazione e alla politicizzazione la mappa e l’inchiesta potrebbero contribuire.

Esse, in ogni caso, costituiscono la strumentazione minima necessaria per contrastare la frammentazione, l’isolamento e la solitudine delle lotte che il sistema vorrebbe rendere strutturale e storicamente permanente. L’urgenza di questo fondamentale lavoro politico è acuta. Se almeno venisse raccolta una modesta proposta per avviare una qualche azione comune sarebbe già da noi il segno di una comprensione del problema. La proposta viene dalla semplice osservazione di chi potrebbe fare che cosa. La cosa è la costruzione partecipata della mappa. La risposta al chi dovrebbe venire dalle Fondazioni che si occupano della società, del lavoro, della vita, delle comunità, dei territori vicine ai sindacati, ai movimenti, ai comitati impegnati in ricerche su realtà e programmi riformatori. Se al filo d’erba nato dal conflitto nella società corrispondesse almeno un filo d’erba nel mondo delle culture politico-sociali sarebbe già qualcosa che vive nel e contro il deserto.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.