“Cavilli e carte bollate” non piacciono proprio a Giuseppe Conte, uno strano avvocato. In una faida senza fine tra statuti sovrapposti, organismi dirigenti decaduti e una sfilza di cause e di ricorsi degli uni contro gli altri, ieri Conte ha fatto rivotare per statuto e leadership. La sua, naturalmente. E proprio come avviene nei sistemi politici di riferimento per qualcuno dei Cinque Stelle, come la Russia di Putin o la Bielorussia di Lukashenko, il candidato leader è uno e uno solo. Giuseppe Conte. Che ricade nella coazione a ripetere e rinnova i suoi errori, uno sull’altro. Formali e sostanziali. Sfidando non solo la giustizia civile ma anche il buon senso e la pazienza. Tanto che solo in pochi tornano a votare.

Il 10 marzo il quorum non è stato raggiunto e si è ricorsi alla votazione di ieri, chiusa alle 22. Votano in pochi. (QUI L’ARTICOLO COL RISULTATO)

Davide Crippa, capogruppo M5s alla Camera, nega la disaffezione: «Siamo l’unica forza politica che coinvolge la propria base». Il coinvolgimento è generoso, in effetti: ieri la richiesta di votare è stata estesa urbi et orbi anche a chi non ne aveva diritto, tra cui i non più iscritti e perfino i dissidenti espulsi.

Ricapitoliamo la cronistoria: ai primi di febbraio era arrivata la sospensione dell’elezione del leader e di tutte le modifiche statutarie adottate con il voto dell’agosto 2021; poi, martedì 8 marzo è andato male anche il ricorso, respinto. Il giudice respinge anche l’istanza di revoca presentata dai legali di Conte. L’udienza di merito è fissata al 5 aprile. Intanto, malgrado la giustizia abbia decretato che il gruppo dirigente non è giuridicamente legittimato ad assumere decisioni, è stata decisa l’assemblea con la votazione che dovrebbe confermare l’elezione di Conte. Ma sulla nuova convocazione pende la spada di Damocle del rebus irrisolto: l’esclusione degli iscritti con meno di sei mesi di anzianità, esattamente come avvenuto nella assemblea messa sotto “processo” dal giudice. Conte, però, va dritto per la sua strada. «Non è possibile che l’azione politica del Movimento 5 Stelle, che ha la maggioranza relativa del Parlamento, sia rallentata e compromessa da cavilli e carte bollate». Evoca i pieni poteri nel partito e un salvacondotto rispetto alle regole, in forza dei voti presi nel 2018 quando a capo del Movimento era Di Maio.

Ribadisce colpo su colpo l’avvocato Lorenzo Borré: «Lo scenario è lo stesso dell’agosto 2021: al netto della questione relativa al mancato raggiungimento del quorum, il numero dei vizi è compensato dalle modalità di indizione delle nuove votazioni. Le questioni assorbenti sono di carattere sostanziale e riguardano l’assenza di democraticità di alcune modifiche proposte», risponde l’avvocato dei ricorrenti M5s. Insomma, si preannuncia un identico ricorso e una conseguente, nuova bocciatura della votazione. Solo questione di tempo, comunque utile alla dirigenza per provare a traguardare le elezioni amministrative di primavera, quando si andrà al voto in tutta Italia. Se Conte dovesse ancora risultare “sospeso” per difetto formale, sarebbe difficile fargli condurre le trattative per le liste, individuare i candidati – inclusi i sindaci. E c’è di più.

Il Riformista ha chiesto conto all’amministrazione dell’Università di Firenze dell’aspettativa del professor Conte. «In attesa di una pronuncia di merito, per l’Università di Firenze non ci sono gli elementi per ritenere che si siano prodotti gli effetti di sospensione dell’aspettativa non retribuita del docente», ci dicono gli uffici. La pronuncia di merito arriverà il 5 aprile, tra meno di venti giorni l’autoproclamato leader del Movimento potrebbe dunque trovarsi costretto a riprendere le sue lezioni nel capoluogo toscano. Intanto i tamburi di guerra richiamano la politica a un senso di responsabilità istituzionale – e di adesione alle istanze europee – che tra i grillini brillano per assenza. Il presidente della commissione esteri Vito Petrocelli (M5S) ha votato contro la risoluzione che impegna l’Italia insieme ai partner della Ue a fornire armi all’Ucraina che resiste all’aggressione di Putin.

Da più parti gli sono arrivate le richieste di dimissioni, avendo votato contro non solo alla maggioranza di governo ma anche al suo stesso gruppo. Giuseppe Conte lo ha rassicurato, chiedendogli di non dimettersi. Ieri nelle chat interne del M5S a Camera e Senato ricorreva lo stesso richiamo alla fedeltà con Putin: il Movimento aveva intrapreso la strada del partenariato con Russia Unita, il partito dello Zar. Se ne è dissociato per tempo, ma se il lupo perde il pelo, non perde il vizio: “Zelensky vuole la guerra mondiale e noi applaudiamo, insensata esposizione Italia”, il tam tam che dalle segrete stanze virtuali di Telegram arriva sul nostro telefono.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.