Le quattro corsie dell’autostazione di Lampugnano, zona ovest di Milano, somigliano a delle rampe di lancio, sparano razzi verso l’ignoto. Le compagnie raddoppiano, triplicano le corse verso sud durante le feste. Sopra corriere, a volte nuove altre arnesi degli anni Novanta, si affolla gente che non va in vacanza, scende giù a tirare il fiato dopo mesi passati a intonacare muri, spingere carrelli, servire drink agli happy hour, un’umanità transumante che sale e scende, lavora e riposa, e resta in stallo senza possibilità di salite sociali.
Sui bus ci vanno quelli che possono spendere meno di cento euro, e non le centinaia richiesti sotto Natale per montare su frecce o aerei. I poveri esistono ancora, sono tantissimi, pure se lisciano lo schermo dello smartphone ultimo, sono vivi, incazzati, percorsi da un odio che si nutre di frustrazioni secolari. Non sono cattivi veri, solo incattiviti, magari il livore che gli sale dal fegato alla bocca non dura nemmeno tanto, ma un passaggio giornaliero lo fa anche dentro i cuori più teneri. I calabresi che godono delle retate che ritualmente aprono le albe a sirene spiegate e luci intermittenti sono tanti, molti più di quanto si pensa.

Con loro non bisogna essere eccessivamente cattivi: nei volti pallidi di quelli tirati giù dal letto di buon’ora ci vedono il dritto che gli ha fregato il posto al Comune, che gli ha preso il letto in ospedale, che ha preteso qualcosa per rilasciargli un certificato, una licenza, che lo ha messo sotto strozzo, sotto pizzo, che gli ha preso casa o terra, o ambedue, l’avvocato, lo sbirro o il magistrato che lo hanno fatto fesso, che hanno coperto un suo aguzzino, il politico che ha sempre porto le mani da baciare, il malandrino che ha mostrato il pugno ricoperto col sangue tuo.

No, ai calabresi che salgono e scendono con le corriere, che nel passato ricordano i carri bestiame e i bastimenti, non è facile spiegargli una posizione diversa dalla gioia, rispetto al blitz quotidiano, hanno sofferto troppo per farsi parlare di diritti e garanzie, pensano facile, a volo di terra, si dicono che sia giusto che i cattivi abbiano anche un solo giorno di dolore, e che tanto i furbi un rimedio lo trovano sempre. Con loro ha gioco facile chiunque impugni una spada, qualunque sia il suo nome e indipendentemente dalle ragioni per cui lavori di scimitarra, un eroe vale l’altro e il migliore degli eroi prima o poi finirà sotto lama, e anche del suo giorno di dolore i calabresi ne godranno.

No, non è che i calabresi siano davvero cattivi, ma è che loro, per loro stessi, le garanzie, il diritto, non li hanno mai visti applicati e non gliene frega tanto se per una volta la stessa sorte tocchi ai forti. Tutto durerà poco, i dritti veri in un modo o in un altro bucheranno la rete, con la muffa ci resteranno i fessi che si fanno più furbi di ciò che sono, e a ogni giro ci rimetteranno le penne gli sfigati dell’errore fisiologico e statistico. In Calabria i più non è che non siano garantisti, le garanzie non le hanno mai conosciute per le fasce deboli.

In Calabria non è che si tifi per un procuratore o per un altro, si inneggia il nome del giustiziere occasionale, con la certezza che domani sarà un giorno uguale all’ingiustizia dei giorni passati. Che sostanzialmente sarà la medesima politica ad amministrare, fingendo nomi e facce nuove. Che sarà la solita melassa a riempire i vuoti temporaneamente creati dalla Legge. I calabresi non sono davvero forcaioli, gratuitamente cattivi. Sono umani, umanamente cedono ai moti di rabbia, ma poi lo sanno che la Legge è con loro che sarà veramente dura.

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E' uno scrittore italiano, autore di Anime nere libro da cui è stato tratto l'omonimo film.