Il libro di di Matteo Minà e Filiberto Passananti
Machiavelli social, il principe della politica si racconta in un’intervista impossibile
All’imbrunire, con le nuvole in cielo che si tingono di un rosa tenue, il piazzale degli Uffizi a Firenze si svuota dai turisti e assume un aspetto intimo, più vicino ai tempi delle sue origini. Palazzo Vecchio mostra tutta la sua bellezza e la statua di Niccolò Machiavelli sembra animarsi. Nell’aria tiepida della sera, il Principe della politica è in buona compagnia: alla sua sinistra troneggia la statua del grande amico Francesco Guicciardini e alla destra quella di un famoso letterato del passato, Giovanni Boccaccio, molto studiato e ammirato dal Segretario fiorentino. Nel silenzio ovattato del loggiato degli Uffizi, dalla statua, la voce di Machiavelli risuona squillante: Sì, ha ragione a pensare che qui mi sono sistemato bene. Tra un vecchio amico e un Maestro, non mi sento mai solo. Capisco – rispondo – le hanno anche dedicato una bella scultura, ma qualcuno ha sbagliato a scrivere Machiavelli, mettendoci due “c”.
Insomma Segretario, ma questo suo cognome, famoso nel Mondo, come si scrive?
Per favore, non facciamone una questione di Stato. Semmai, qualche mio concittadino sulla mia statua agli Uffizi ha aggiunto una “c” per evitare che i fiorentini l’aspirino, ma non cambia nulla. Il compito di un nome e un cognome è quello di individuare la persona che li porta. Se questo obiettivo è raggiunto, il resto conta poco. Il fine giustifica i mezzi? Bisognerebbe chiederlo a chi l’ha detto. Non a me. Io, ma solo in riferimento alla politica, mi sono limitato a sostenere che quando non c’è modo di seguire le leggi, le azioni di chi governa vanno giustificate in virtù dell’obiettivo che si vuole raggiungere.
Lei è affezionato all’Albergaccio, il podere della sua famiglia a San Casciano in Val di Pesa, nonostante sia stato il luogo del suo lungo esilio?
Certo. Nonostante i giorni bui che vi ho trascorso, dopo la caduta della Repubblica e la mia cacciata da Firenze, è sempre stato il mio pensatoio e la mia tana, benché distante dalla Città, dalla politica e dal mondo nel quale amavo vivere. Quale effetto le fa, oggi, sentirsi tanto apprezzato e studiato all’estero, ma ancora guardato con sospetto da una parte consistente degli studiosi italiani? Qualcuno insiste a descriverla come un servo sciocco dei Medici. Bontà sua. La realtà è che, in Italia, quando qualcuno ha iniziato a studiare seriamente i miei scritti, eravamo in pieno Romanticismo, idea che mal si sposa col concetto di cinismo, che è proprio della politica. La mia colpa è di aver raccontato la verità, senza curarmi del fatto che questa possa essere anche molto scomoda. Non credo che un servo l’avrebbe fatto. Forse, uno sciocco sì.
Lei è considerato da molti come il fondatore della politica moderna…
Non credo di aver fondato nulla. Ho letto e studiato con attenzione i classici antichi, romani e greci e ho vissuto da ambasciatore nelle Corti di mezza Europa, trattando con Re e Papi. Questo mi è bastato per capire che l’uomo è sempre lo stesso, non cambia mai e la sua storia è ciclica. Da ciò a formulare delle regole, o meglio dei semplici suggerimenti per chi governa, il passo è breve. Come saprà, il vocabolario italiano ospita il termine «machiavellico» per indicare un modo di pensare particolarmente spregiudicato. Lei si ritiene spregiudicato? Non è spregiudicato Machiavelli o il suo pensiero. Lo sono la politica e l’arte del governo, come ci insegna la storia e, per la verità, anche le mie esperienze personali. Si tratta, molto spesso, di una spregiudicatezza indispensabile, legata più alle necessità del momento che alla volontà degli uomini. Alla fine, l’etichetta me la sono presa io. Ma vi sembrano tanto spregiudicati la mia vita e i miei comportamenti? Dopo il rientro dei Medici a Firenze, lei fu arrestato e sottoposto alla tortura della corda, o «colla», come la chiamavate voi allora. Invece di prendersela con chi le aveva fatto questo, scrisse due sonetti scherzosi a Giuliano dei Medici per ricordargli la sua condizione di carcerato. Il vero responsabile del mio arresto e delle torture non era un uomo, ma le regole della politica, spesso ciniche, che anche io ho illustrato scrivendo del Principe che riconquista lo Stato perso.
A proposito di scherzi, lei non appare come molti la descrivono come un uomo triste e serio. Sembra piuttosto avvezzo al gioco. Anche con i suoi colleghi di Cancelleria.
L’ironia e lo scherzo appartengono da sempre ai fiorentini. Sono elementi di quello che voi oggi chiamate Dna di un popolo. Perché io dovevo essere diverso?
Lei è stato diplomatico, storico, politico, filosofo, scrittore, drammaturgo e in vita, ma soprattutto dopo, ha ottenuto buoni successi. Non crede che avrebbe potuto ottenere ancora di più se si fosse concentrato su una sola di queste attività?
Ho capito da subito che nella vita è meglio fare le cose che piacciono e per cui si è portati. Le mie attività sono troppe e spesso molto diverse tra loro? Ricordiamo che sono vissuto in pieno Rinascimento, che sposa il concetto di uomo universale, cioè di persona che eccelle in molteplici campi. Ancora vedo questa idea come punto d’arrivo del naturale sviluppo umano. Segretario, per alcuni anni, ha frequentato monsignor Giovanni Della Casa, fiorentino come lei e autore del Galateo. Pensa di aver incamerato parte del suo pensiero sull’empatia? L’attività diplomatica che ho svolto per anni si basa proprio sull’empatia, cioè sulla capacità di mettersi nei panni della controparte, comprendendone i pensieri e gli obiettivi. Quindi, la risposta è sì, il pensiero del Monsignore mi è stato molto utile.
Machiavelli, ma lei come spiega il fatto che Il Principe ha attraversato i secoli ed è ancora oggi studiato con tanto interesse?
È semplice. Il Principe tratta l’aspirazione fondamentale nella vita degli uomini. Ovvero di creare un buon governo in grado di operare una redenzione contro la corruzione, l’oppressione e la discriminazione. Insomma, rappresenta il sogno sempre vivo della Grande Politica.
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