La storia industriale del nostro Paese è caratterizzata da una serie di occasioni perdute. Certamente non sono mancate, e non mancano, testimonianze di grande eccellenza, ma, d’altra parte, negli ultimi decenni l’Italia ha perduto o ridimensionato drasticamente la propria capacità produttiva in settori industriali nei quali aveva occupato a lungo un posto di primissimo piano a livello mondiale.

È il caso della scomparsa dell’informatica, ovvero della produzione su larga scala di computer progettati e fabbricati nel nostro paese, che si identifica con la fine della Olivetti di Ivrea, fino agli anni ’80 in grado di competere nel settore dei PC con i più importanti gruppi mondiali. È, più in generale, il caso dell’elettronica di consumo, dalla telefonia mobile alla TV, alla radio. Ma è anche il caso dello sgretolamento della grande industria chimica italiana, dopo tutte le vicende, alcune anche tristemente note sul fronte giudiziario, di Montedison, Enimont ed Enichem.

Purtroppo, sembra essere il caso anche della gloriosa industria dell’auto, sempre meno radicata sul nostro territorio, nonostante i roboanti proclami del Ministro Urso sulla produzione di un milione di autovetture negli stabilimenti italiani. Le ultime notizie – dalla produzione della 600 elettrica in Polonia e della Panda elettrica in Serbia al continuo ricorso alla cassa integrazione a Mirafiori dove ancora si produce la 500 elettrica e le (poche) Maserati; dal traumatico sorpasso a dicembre 2023 di Volkswagen su Stellantis nella prima posizione della classifica delle vendite di auto in Italia per la prima volta dal 1928 (!) alla definitiva chiusura dello stabilimento di Maserati a Grugliasco, così centrale nella strategia a suo tempo definita da Marchionne – lasciano intravedere un progressivo ed inesorabile declino, al quale il Paese, ma soprattutto il Governo sembra quasi disinteressarsi.
Che sta facendo il Tavolo Sviluppo Automotive voluto dal Ministro Urso, al di là di prospettare un piano di incentivi per l’acquisto di auto elettriche (o comunque meno inquinanti) di dubbia efficacia e che comunque andrà a favorire i principali competitor stranieri oggi in grado di proporre una gamma di modelli molto più ampia e variegata?

Ma la notizia del giorno riguarda un altro settore, il nucleare civile. La presenza italiana in questo settore ha radici antiche: nel 1966, l’Italia era il terzo produttore al mondo di energia da fonte nucleare dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna; ma dopo gli incidenti di Chernobyl (1986) e Fukushima (2011) e soprattutto dopo il referendum del 2017, L’Italia aveva di fatto liquidato tutta la struttura industriale e di ricerca sul nucleare. Solo recentemente, a valle della crisi energetica degli anni scorsi e delle importanti aperture in ambito europeo sulla sostenibilità del nucleare quale fonte energetica, il Ministro Pichetto Fratin ha riaperto la prospettiva del nucleare e ha costituito la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile con una tabella di marcia precisa e stringente.

In questo contesto esiste in Italia un’azienda, la Newcleo, che rappresenta un’eccellenza mondiale nel settore degli small modural reactors, SMR, che costituiscono oggi la frontiera dell’applicazione del nucleare civile.
Se infatti la fusione nucleare, ma anche il nucleare per fissione di quarta generazione, costituiscono la sfida del futuro e sono ancora oggetto di ricerca con basso Livello di Maturità Tecnologica, se il nucleare di terza generazione offre grandi margini di sicurezza, ma ha costi (e tempi) di impianto estremamente elevati, la prospettiva di applicazione oggi più interessante, alla quale sembra guardare per il futuro prossimo anche il nostro Governo, è proprio quella dei reattori modulari di piccole dimensioni. Newcleo (600 dipendenti, 400 milioni di euro di investimenti da parte del gotha dell’imprenditoria italiana) è impegnata nella produzione del primo reattore nel 2031, pensando alla sua commercializzazione nel 2033. Ma per farlo ha bisogno di ulteriori finanziamenti.

E qui entrano in gioco i cugini d’Oltralpe, pronti a discutere di un forte investimento azionario dello Stato francese in Newcleo, ma spostando gran parte delle funzioni aziendali nel loro Paese. La Francia ha puntato da tempo sul nucleare e continua a farlo, con la costruzione di un nuovo reattore a Flamanville, ma guarda anche alle nuove tecnologie e avrebbe addirittura già iniziato a valutare le diverse opzioni per la installazione di un SMR della Newcleo.
Insomma, sembra concreto il rischio che, senza un intervento dello Stato italiano volto alla ricerca delle risorse necessarie, anche questa tecnologia possa migrare. Riuscirà il nostro Governo a battere un colpo?

Fabrizio Micari

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