Dopo 50 giorni di contorsioni politiche e trattative senza sbocchi dopo le elezioni anticipate di giugno, finite senza vincitori assoluti, Emmanuel Macron ha nominato ieri Michel Barnier come nuovo capo del governo della repubblica francese. Erede della tradizione gollista e politico di lungo corso, in passato Barnier ha ricoperto quattro volte la carica di ministro e due volte quella di commissario europeo prima di diventare capo della task force sulla Brexit nel 2016.
Per Macron rappresenta la quadratura del cerchio perché soddisfa due requisiti essenziali. In quanto rappresentante del mondo conservatore, ha il sostegno del partito di centrodestra Les Républicains, che negli ultimi giorni ha rinunciato alle posizioni più ostili nei confronti dell’Eliseo. Allo stesso tempo, all’età di 73 anni, Barnier non è più percepito come un rivale dai suoi alleati più giovani che hanno ambizioni presidenziali: il suo passaggio da Palazzo Matignon diventa accettabile. Soprattutto, Barnier è il soggetto ideale per realizzare il disegno di Macron di lasciar fuori dalla compagine di governo le ali estreme di sinistra e di destra: la France Insoumise e il Rassemblement National. A questo scopo il presidente ha sperato a lungo nella spaccatura a sinistra tra i riformisti di Raphaël Glucksmann e i populisti di Jean-Luc Mélenchon. Quindi si è opposto alla nomina di Lucie Castets, candidata della sinistra a primo ministro, sostenendo che il Nuovo Fronte Popolare non ha i numeri in Assemblea nazionale e non sopravviverebbe a un voto di sfiducia.
La reazione di Mélenchon è durissima: “Barnier non viene dal NFP che ha vinto le elezioni, ma da un partito che ha preso meno voti di tutti. L’elezione è stata rubata”. Il leader della sinistra populista annuncia una mobilitazione per il 7 ottobre, che è anche l’anniversario del pogrom di Hamas contro Israele: sarà probabilmente l’occasione per rinnovare la solidarietà dell’estrema sinistra francese alla causa antisionista e antisemita del gruppo terrorista palestinese. Sul fronte opposto, gli esponenti del Rassemblement National definiscono Barnier un “fossile” politico ma non alzano le barricate. Il presidente di Rn, Jordan Bardella, assicura che il suo partito “giudicherà il discorso di politica generale” del nuovo premier, prima di decidere se votare o no la sfiducia al suo governo. Il vicepresidente Sébastien Chenu avvisa che il RN non boccerebbe “immediatamente” un premier favorevole “alla proporzionale, che affronta i cantieri immigrazione, sicurezza, potere d’acquisto e rispettoso del RN come prima forza politica” del paese.
Il sistema francese prevede che gli oppositori mettano in piedi in Assemblea una maggioranza capace di votare la sfiducia al primo ministro nominato. Ma Macron confida nel fatto che i numeri non siano sufficienti per sfiduciare Barnier.