Qualche giorno fa, sugli Champs-Élysées, si è svolta la Parade des Champions. Un evento per celebrare atleti, volontari e organizzatori dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi 2024. Il presidente Emmanuel Macron ha partecipato, consegnando onorificenze ai campioni. In un clima festoso, ha persino sistemato il nodo della cravatta del campione di judo Teddy Riner prima di insignirlo.
Durante la manifestazione, il pubblico e gli atleti hanno iniziato a cantare “Qui ne saute pas n’est pas Français”. Macron si è unito al coro e ha iniziato a saltare dal palco. Accanto a lui, atleti olimpici e paralimpici e membri dello staff hanno battuto il tempo con le mani. Poco dopo l’evento, il giornalista Paul Larrouturou ha pubblicato su X (ex Twitter) un video in cui si vede il presidente saltare di fronte ad alcuni atleti paralimpici. Il post, accompagnato dalla domanda ironica “Qui ne saute pas?”, ha raccolto in breve tempo 750mila visualizzazioni. Da lì la notizia si è diffusa rapidamente, con molti giornali internazionali – compresi quelli italiani – a riportare l’episodio come una “gaffe” presidenziale. Tra i commenti sui social, l’indignazione ha preso piede. Alcuni utenti hanno parlato di “vergogna”, “imbarazzo” e “inadeguatezza”. L’accusa? Saltare di fronte a persone che, a causa della loro disabilità, non potevano farlo.
Il concetto di disabilità
Io non credo che Macron abbia commesso una gaffe. Il contesto era di festa, il presidente si è comportato in modo spontaneo, senza mettere a disagio nessuno. Solo chi vede la disabilità con pietà e paura può interpretare quel gesto come inappropriato. Purtroppo esistono persone che quando si trovano di fronte a una persona disabile si bloccano, preoccupate di cosa dire o fare. Sono quelle che temono di sbagliare, di pronunciare frasi come “è un piacere vederti” davanti a un cieco, o “hai visto cosa è successo?”. Questo terrore di fare passi falsi spesso impedisce di fare la cosa giusta.
La disabilità non deve essere vista come il centro dell’identità di una persona, ma solo come una delle tante caratteristiche. Se la percepiamo per prima, è solo perché è la più periferica. La più visibile tra le mille caratteristiche di una persona. Ci emoziona la frase “l’essenziale è invisibile agli occhi” e poi ci fermiamo alla periferia delle persone? Non dobbiamo aggiungere limiti a quelli che già esistono. Nessuna persona disabile ci giudicherà per una frase. Spesso, quando ci relazioniamo con persone con disabilità, siamo tesi, nervosi e un po’ tristi. Invece quando saltiamo sorridiamo e siamo felici. Macron ha fatto bene a farsi vedere felice, perché lo era.
La vergogna
La vergogna dovremmo provarla quando parcheggiamo sulle strisce, ostacolando chi si muove in sedia a rotelle. Dovremmo sentirci in imbarazzo quando lasciamo gli escrementi di cane in strada, senza pensare a chi – con la sedia a rotelle – potrebbe sporcarsi le mani. L’inadeguatezza emerge quando non trattiamo una persona disabile come pari, rivolgendoci, ad esempio, a chi l’accompagna invece che direttamente a lei o a lui. Il vero rispetto si manifesta quando garantiamo pari opportunità e accogliamo la disabilità come parte integrante della vita. Ricordiamoci che, con l’aumentare dell’aspettativa di vita, la disabilità potrebbe riguardare tutti noi. E quel giorno ci sentiremo a disagio se qualcuno farà qualcosa che noi non potremo più fare? Non credo, a meno che non vorremo essere circondati da imbarazzo e tristezza.
Consiglio di seguire l’account Instagram @ruote.libere, gestito dalle sorelle Sara e Alessia Michielon. Parlano di accessibilità, non solo fisica, ma soprattutto dell’accessibilità dell’anima, perché è la disabilità dell’anima che ci deve fare veramente paura.