Il boss era ricoverato all'ospedale dell'Aquila
Mafia, morto Matteo Messina Denaro: il boss della ‘nuova’ Cosa Nostra stroncato da un tumore al colon
È morto tra mistero e riservatezza, rifiutandosi di parlare e di collaborare. Caratteristiche che hanno sempre accompagnato la sua figura: un fantasma latitante per trent’anni.
Una seconda vita da fantasma, gestore di trattative e affari, in solitudine. La prima, quella della scalata, terminata a gennaio col suo arresto, è stata invece da capo-innovatore di Cosa Nostra, da killer spietato. La morte di Matteo Messina Denaro, deceduto oggi, stroncato da un tumore al colon, nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila dove era stato ricoverato l’8 agosto, è la fine di un pezzo di storia di Cosa Nostra già compromessa da gennaio, mese del suo arresto nella clinica privata La Maddalena di Palermo. Ma anche una storia personale specchio del suo terribile mondo, oscuro e lacunoso. Messina Denaro nasce già nella Mafia, nel 1962, seguendo le orme del padre (formalmente contadino) grande capo del mandamento mafioso di Castelvetrano. A 26 anni è già temuto nel locale, e inizia a capire che per fare strada è meglio non esistere: quando a Partanna scoppia il conflitto tra gli Ingoglia e gli Accardo per il controllo del traffico internazionale di droga, dopo la morte di Giuseppe Accardo, Matteo viene convocato e ascoltato (1988); fino a poco tempo fa, è stata l’unica testimonianze della sua voce. Un filo rosso, quello dell’invisibilità, che percorrerà tutta la vita di “U siccu”.
Quando il padre entrò in latitanza, in cui rimase fino al 1998 perdendo la vita dopo un infarto, Matteo divenne capo della provincia di Trapani dando un’impostazione imprenditoriale alla malavita tipica di Cosa Nostra (operò nel settore dell’eolico, cosa che sconvolse Riina. “Questo si sente di comandare, i pali potrebbe metterseli nel …” disse in una registrazione). Successivamente si guadagnerà il soprannome de “l’affarista”. Estorsioni, contratti, e una fetta degli accordi locali, ma anche smaltimento illegale dei rifiuti, dal riciclaggio di denaro e naturalmente dal traffico di droga e dal monopolio degli appalti nelle costruzioni provinciali. Varie amicizie lo portano a diventare un pupillo di Totò Riina, e trova in lui una seconda figura paterna, “Il padre di tutti noi”. È sotto la sua guida e quella di Bernardo Provenzano che programma assieme a Vincenzo Sinacori e Giuseppe Graviano, l’esecuzione dei Magistrati Falcone e Borsellino, istruttori del Maxiprocesso di Palermo, e i politici Martelli, Mannino e molti altri personaggi pubblici, anche dello spettacolo tra cui Maurizio Costanzo (attentato di via Fauro).
Missioni fallite, alcune solo in un primo momento. Nel 1993, l’arresto di Totò Riina gli spiana la strada per prendere il comando. Capo della nuova generazione di Cosa Nostra. Spietato, astuto e feroce. Egli stesso perde il conto degli omicidi: “Con le persone che ho ammazzato potrei fare un cimitero”. La sua mano dietro i morti delle stragi e dietro gli sconvolgenti omicidi, senza pietà alcuna, del piccolo Di Matteo e della fidanzata del capomafia di Alcamo – Vincenzo Milano – Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. Ma è stata soprattuto la strategia politica a caratterizzare la sua Cosa Nostra, che vedeva opportunità di crescita prima nella Dc, poi nel Psi, infine col senatore di Forza Italia Antonio D’Alì.
Non solo, ha stretto legami con criminali d’oltreoceano, tra Canada, Stati Uniti, anche nel mondo del terrorismo islamico. È stato custode dei segreti delle trattative tra Stato e mafia.
Era latitante da quello stesso anno, dal 1993, quando annunciò l’inizio del periodo in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze: “Sentirai parlare di me, mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”.
Non usava telefoni, solo “pizzini”, biglietti. Alcuni arrivavano a destinazione dopo mesi. Probabilmente il sistema che gli ha permesso di riuscire ad essere un fantasma per 30 anni. È riuscito a nascondersi nel nulla, senza foto, senza impronte digitali, senza testimonianze. Il mistero su tutte le sue tappe (tante estere) i suoi spostamenti, resterà. Così come il silenzio della sorella (suo braccio destro) e tanti uomini di fiducia. Prima del suo arresto lo scorso gennaio, all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo, dove è stato arrestato “per sottoporsi a terapie” sotto il falso nome di Andrea Bonafede. Era affetto da affetto da un adenocarcinoma mucinoso colorettale, un tumore al colon al quarto stadio diagnosticato più di due anni fa.
Il lento aggravarsi delle condizioni, fino al decesso di oggi. È morto tra mistero e riservatezza, rifiutandosi di parlare e di collaborare. Caratteristiche che hanno sempre accompagnato la sua figura, e che oggi porta nella tomba. La lotta alla Mafia non è neppure proseguita col suo arresto, ma quest’ultimo è stato certamente una tappa, assieme alla morte. Due eventi dai quali sapeva di non potersi sottrarre.
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