Il Governo ha previsto i test psico-attitudinali per l’ingresso in magistratura. Innanzitutto, cerchiamo di fare chiarezza. Cosa sono i test psico-attitudinali e cosa sono in grado di rivelare della personalità di chi si sottopone?
«Nella storia della psicologia i test psico-attitudinali erano prove strumentali – non “carta e matita” – progettate per selezionare apprendisti o allievi di corsi professionali (meccanici, tornitori, tipografi) in funzione di rapidità e precisione nei compiti manuali. Le attitudini, nella letteratura psicologica scientifica, sono caratteristiche cognitive.
In tempi relativamente recenti, Forze armate e Forze dell’ordine hanno definito le “attitudini” del personale da arruolare come premessa dei loro bandi di concorso, inserendo fra le attitudini anche tratti di personalità e assenza di psicopatologie».
Quale sarebbe la procedura corretta, sotto un profilo scientifico, per creare questi test, in modo che siano “vestiti su misura” per la categoria dei magistrati?
«Somministrare un test già esistente non avrebbe molto senso. Innanzitutto, occorre definire il profilo di personalità (che include caratteristiche cognitive generali o specifiche, tratti di personalità, assenza di particolari disturbi) in base al quale si vogliono selezionare i candidati. Quindi, mettere a concorso la costruzione di un test ad hoc, eventualmente riservando la partecipazione a Istituti di Ricerca con precedenti esperienze in materia.
Sarebbe necessario finanziare un progetto che comporti un primo stadio con la costruzione di quesiti la cui validità di contenuto sia sottoposta a verifica da esperti che attestino la congruenza di contenuto fra ogni domanda e la caratteristica che dovrebbe misurare e un secondo stadio in cui il test è somministrato a un campione estratto a caso di italiani (almeno 300). Se il questionario deve valutare anche caratteristiche psicopatologiche, la verifica dovrà includere anche la somministrazione a campioni di soggetti con psicopatologie diversamente e oggettivamente accertate, per garantire la capacità discriminativa del test in costruzione. Infine, sarà necessario sottoporre il nuovo test a un nuovo campione per una verifica della struttura psicometrica dello strumento e, se questa risulta funzionale, il calcolo dei parametri su cui basare le condizioni per l’esclusione dei candidati dall’idoneità. I risultati poi dovranno essere valutati da una commissione e se includono una componente psicopatologica dovranno essere validati da un medico».
Come immagina, in una sorta di simulazione in laboratorio, un test per i magistrati? Dovrebbe essere in grado di rivelare la capacità del candidato di coltivare dubbi, di ascoltare le parti con attenzione mantenendo comunque l’equilibrio e senza farsi influenzare da fattori esterni e pressioni politiche. Il test sarebbe unico per pubblici ministeri e giudici, malgrado i loro ruoli siano diametralmente differenti.
«Se i ruoli di pubblico ministero e di giudice sono differenti, è ovvio che, soprattutto in caso di separazione delle carriere, si dovrà partire dalla definizione di due diversi profili. La definizione del profilo del “bravo giudice”, del “bravo pubblico ministero” o del “bravo magistrato” devono darla professionisti qualificati. Nei test per i concorsi militari o delle Forze dell’ordine gli esperti sono stati gruppi di colonnelli, con l’apporto di uno psicologo docente universitario che traduceva in termini di categorie scientifiche le definizioni in lingua corrente proposte dai militari o dai dirigenti delle Forze dell’ordine. Nel caso della magistratura, va presa una decisione preliminare su chi siano i professionisti competenti a definire il profilo. Ci si potrebbe limitare a incaricare il CSM, ma si potrebbe allargare la richiesta all’avvocatura, nelle sue diverse componenti».
Lei pensa che sia necessariamente un modo per screditare una intera categoria ipotizzare di somministrare dei test? Vengono sottoposti a test poliziotti e militari, che imbracciano armi da fuoco, perché non sottoporre a test una categoria che – legittimamente – ha il potere di applicare misure cautelari in carcere, condannare ed irrogare pene che possono cambiare la vita di una persona?
«Dipende da come è il test. Si sente parlare di un particolare questionario, il Minnesota, la cui pubblicazione negli USA risale al 1943 e che contiene domande Vero/Falso basate sulla cultura psichiatrica di quegli anni, in cui erano considerate come categorie patologiche l’omosessualità (maschile), l’isteria o la psicastenia, mentre non erano presenti indicatori appropriati per disturbi allora infrequenti, come i disturbi del comportamento alimentare, la componente della schizofrenia dai sintomi poco evidenti, la depressione com’è attualmente definita, molte tipologie di ansia e la maggior parte dei disturbi di personalità, quali il narcisismo patologico o il disturbo borderline. I correttivi successivamente introdotti non hanno apportato aggiunte sostanziali ai quesiti iniziali, ma solo modifiche psicometriche. Per di più, la larga diffusione nell’uso di questo test nei concorsi ha prodotto la proliferazione di sussidi vari per rispondere in modo da risultare accettabili, che si trovano in libreria e su internet. C’è anche una canzone dei Bluvertigo che ridicolizza il “test dei fiori”, come chiamano il Minnesota a causa di una domanda a cui chi risponde che gli piacciono i fiori viene considerato omosessuale. Prepararsi per questo test e falsare il risultato è piuttosto agevole».
Al di là delle polemiche politiche, da un punto di vista scientifico cosa può rivelare un test del profilo psicologico del candidato magistrato? Può essere utile?
«Certamente può essere utile se non si utilizzano test già esistenti, che non hanno valore “universale” e la cui ampia diffusione li rende oggi inutili, e se si costruisce un test “su misura” cercando di individuare, senza strumentalizzazioni politiche, un “modello di magistrato” dopo un approfondito e “laico” contraddittorio con tutti gli operatori del settore».
Lucia Boncori è stata professoressa ordinario di Teoria e tecniche dei test di personalità nella Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Presso lo stesso Ateneo ha diretto la Scuola di specializzazione quinquennale in Valutazione psicologica e counselling. È autrice di numerose pubblicazioni sul tema, tra le quali “Teoria e tecniche dei test” (Bollati Boringhieri, 1993) e “I test in psicologia – Fondamenti teorici e applicazioni” (Il Mulino, 2006). Ha contribuito alla creazione di diversi test psicologici tra i quali alcuni per le Forze Armate. Attualmente dirige un Master di 2° livello in Test e valutazione psicologica presso l’università LUMSA di Roma.