Lo sfascio
Magistratopoli fa a pezzi l’Anm, Poniz resta solo
Ogni giorno l’Anm perde un pezzo. La pubblicazione delle chat di Luca Palamara, un moderno feuilleton, sta falcidiano i componenti del comitato direttivo centrale, il “parlamentino” della magistratura, e quelli della giunta esecutiva, il “board” togato. Gli ultimi ad abbandonare la giunta sono stati i giudici di Unicost Angelo Renna e Bianca Ferramosca: fatali per entrambi i colloqui con il loro leader di corrente e ras delle nomine al Csm. Ieri mattina i nomi dei due magistrati erano ancora presenti sul sito istituzionale dell’Anm ma i ben informati riferiscono che già da qualche giorno hanno rimesso il mandato nelle mani del presidente Luca Poniz.
Oltre ad aver perso per strada due dei cinque componenti della giunta, Poniz è alle prese con la raffica di dimissioni dal comitato direttivo centrale, “l’organo deliberante permanente dell’azione associativa”. Composto da 36 membri, aveva visto alla fine di maggio l’uscita dell’intero gruppo di Magistratura indipendente, la corrente di destra, in disaccordo con la linea del presidente. L’altro giorno, invece, le dimissioni di peso del pm Francesco Minisci, molto legato a Luca Palamara e fra i capi di Unicost nella capitale. Minisci nel 2016 era stato segretario dell’Anm, nel periodo in cui la giunta era presieduta da Piercamillo Davigo. Nel 2018 il grande balzo con la nomina a presidente.
Poniz, va detto, cerca di dare una parvenza di normalità ad una situazione che tutto è tranne che normale. La giunta, infatti, è alla proroga della proroga. Le elezioni per il rinnovo erano previste a marzo, poi rinviate a giugno, ora a fine ottobre.
«Caro collega, in ragione della imminente convocazione del Cdc e della correlata necessità di tempestiva convocazione dei componenti, ti prego di voler comunicare la tua dichiarazione di accettazione o di rinuncia di sostituzione del componente il Cdc», il testo della lettera che i primi dei non eletti stanno ricevendo in queste ore. Al momento si contano solo dinieghi. Nessuno, comprensibilmente, ha voglia di mettere il proprio nome in una giunta in “prorogatio”. Fra i dinieghi spicca quello di Gaetano Bono, un giovane magistrato balzato alle cronache qualche anno fa per essere il portavoce dei magistrati di prima nomina penalizzati dalle disposizioni sui trasferimenti.
L’Anm è «delegittimata dal doppiopesismo sul caso-Palamara che appare evidente se solo si confrontano le differenti reazioni che hanno accompagnato le rivelazioni giornalistiche di questi giorni, rispetto a quelle registratesi lo scorso anno», scrive Bono, evidenziando le diverse reazioni dell’associazione delle toghe alla pubblicazione dei colloqui intercettati a Palamara.
Nel 2019 si gridò allo scandalo, adesso che è stato svelato il funzionamento del premiato nominificio Palamara&C, come confermato dal diretto interessato che ha anche chiesto “scusa” ai colleghi penalizzati dalla lottizzazione, il silenzio. Attualmente la giunta Anm è una sorta di monocolore delle toghe di Area, il raggruppamento di sinistra di cui Poniz fa parte. La riforma elettorale del Csm proposta dal ministro Alfonso Bonafede, 20 collegi elettorali e ballottaggio, consentirebbe ad Area, grazie ai voti di Unicost ormai in liquidazione, di fare cappotto, lasciando a secco gli altri gruppi. L’allarme è stato lanciato dal togato Sebastiano Ardita, esponente di Autonomia&indipendenza, la corrente fondata da Davigo che rischierebbe di sparire se questa riforma venisse approvata.
«Forse il ministro non sa che alcune correnti hanno reti locali che prendono in carico i magistrati dal loro ingresso in magistratura e li accompagnano fino alla pensione. Più ristretto è il collegio e più facile è intercettare il voto. Nessun magistrato, se non sostenuto da un gruppo, verrebbe mai eletto», ha dichiarato in una intervista al Fatto. Anche la votazione dopo 24 ore, per impedire accordi di corrente, sarebbe inutile «perché le grosse correnti prevedono già tutto. E sanno in partenza chi andrà al ballottaggio». Se passasse una riforma così, aggiunge quindi Ardita, le correnti «avranno la magistratura nelle mani e non sarà un gran servizio per la giustizia. E poi non dite che non l’avevamo detto…».
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