Avvocato di chiarissima fama, docente universitario, il professor Guido Calvi è un’autorità nel campo del diritto. Già componente del Consiglio Superiore della Magistratura dal 2010 al 2014, senatore per più legislature, Calvi conosce il “pianeta giustizia” in ogni sua sfaccettatura.

Professor Calvi, un nuovo terremoto si è abbattuto sui magistrati e sul Consiglio Superiore della Magistratura. È il caso della Loggia Ungheria, raccontata come una grande loggia segreta che condizionerebbe, e quindi gestirebbe, nomine e affari. Che idea si è fatto in proposito?
Una premessa è d’obbligo. Al momento abbiamo soltanto le notizie che ci vengono comunicate attraverso i quotidiani. Non abbiamo alcuna certezza ufficiale. Tuttavia quello che ci viene descritto appare straordinariamente grave. Io partirei da una considerazione per rimarcare la gravità della situazione. La Magistratura è l’organo costituzionale che tutela il principio di legalità. Ed è a fondamento del sistema dello Stato di diritto. Siamo dunque di fronte a un problema che investe addirittura, con lo Stato di diritto, il sistema democratico del nostro Paese. Detto questo, e nel momento in cui abbiamo problemi così gravi che stanno investendo la Magistratura, il Csm tanto per essere chiari, occorrerebbe una presa d’atto del Parlamento e soprattutto del Ministro, che francamente a me sembrano mancare. Ancora una volta è la politica che è assente. Io ho letto con attenzione l’intervista che il ministro Cartabia ha rilasciato a La Stampa, e non mi sembra che vi sia stato alcun cenno su possibili riforme. E questo mi preoccupa.

Sulla base della sua lunga esperienza nel campo, cosa si dovrebbe fare per mettere mano a un sistema giudiziario che sembra sempre più terremotato per non dire altro?
Cominciamo dal Csm. Trovo improponibile il discorso del sorteggio. La nostra Costituzione parla di magistrati togati eletti. Scartiamo l’ipotesi del sorteggio, un modo non efficiente per selezionare i componenti del Csm. Si possono fare molte cose: riformare, per esempio, il sistema della sezione disciplinare…

Come?
Attraverso una nuova riforma dell’ordinamento giudiziario, individuando nuove ipotesi di illecito disciplinare e nuove possibilità d’intervento di un organismo, qualunque esso sia, quello attuale o un altro come viene prefigurato, ma che certamente possa operare con rapidità ed efficacia. E, soprattutto, con grande rigore e severità. C’è poi, grande come un macigno, il problema dei processi, civile e penale. In questo ambito, vi sono questioni molto serie e gravi, che sono però esterne al sistema processuale. Mi riferisco, tanto per essere chiari, soprattutto ai rapporti con la stampa. I meccanismi di diffusione delle notizie sono un sistema perverso di lesione di diritti fondamentali dei cittadini. Il problema vero, strutturale, di sistema, è un altro…

Vale a dire, professor Calvi?
I pubblici ministeri non hanno alcun potere diretto. Tutto ciò che possono fare lo debbono chiedere al Gip. Non possono arrestare una persona, fare intercettazioni. Debbono chiedere. Il problema vero è che c’è una debolezza nel controllo da parte dei Gip delle richieste dei Pm. Bisogna rafforzare i poteri dei Gip, il numero dei Gip, per rendere il controllo sui pubblici ministeri sempre più forte. Insisto su questo punto perché lo ritengo davvero fondamentale: la cosa più importante è che ci sia un intervento del giudice, che è il Gip. Tangentopoli in questo senso avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. I poteri dei Pm sono sopravvalutati per carenza di controllo da parte dei Gip. Carenza determinata dal numero dei Gip, indubbiamente inferiore ai pubblici ministeri. In buona sostanza, rafforzare i poteri dei Gip per far sì che ci sia un controllo più serrato nei confronti dei Pm. Queste sono le due riforme, processuali e di ordinamento, che andrebbero fatte per allentare questa pressione nei confronti della Magistratura. Stiamo parlando di un sistema basilare per la tutela dei principi dello Stato di diritto e quindi della democrazia.

Non crede che a fondamento di questa crisi di sistema, nel campo della giustizia e dei suoi organismi istituzionali, vi sia politicizzazione debordante dell’Anm e delle sue correnti?
Le correnti nascono come movimenti culturali di altissima qualità. Lentamente, però, si trasformano in comitati elettorali. Degradano in funzioni assolutamente inaccettabili. Non perché si politicizzano ma perché degradano a queste funzioni.

Scandali, dossieraggi, il caso Palamara e ora quello della Loggia Ungheria. Tutto questo non incrina ancor di più il già tenue legame di credibilità e autorevolezza tra cittadini e la Giustizia e quanti sono chiamati ad amministrarla?
Assolutamente sì. Di questo dovrebbe rendersi conto il mondo politico. È il mondo politico che deve affrontare questo problema, e quindi porre mano alle grande riforme. Devono essere il Governo e il Parlamento a farsi carico di questo. Non farlo, è una grave fuga dalle proprie responsabilità.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.