A Napoli non può piovere tre o quattro giorni di fila che nei post e nelle stories sui social e pure sui giornali è tutto un diluviare della pioggia che “era precipitata verso le 3 di notte con raffiche violente” e dei crolli e delle voragini che “e cazzo questa città davvero è di cartone”, e del pensiero che “non saresti morto, forse, ma non avresti mai più vissuto, non come prima, almeno”. E certo, dipende dalla cosiddetta bolla, ma Malacqua di Nicola Pugliese resta un cult, nonostante o grazie anche al suo caso letterario. Il romanzo sta per tornare in libreria in una nuova edizione.
La prima venne finita di stampare il 25 giugno del 1977 a Torino dalla Giulio Einaudi Editore. Pugliese si rifiutò sempre di ripubblicare in vita il romanzo sui “Quattro giorni di pioggia nella città di Napoli in attesa che si verifichi un Accadimento Straordinario”. Soltanto nel giugno del 2013 l’editore pugile Tullio Pironti (morto a 84 anni lo scorso settembre, l’uomo che portò in Italia Don DeLillo e Breat Easton Ellis tra gli altri, capace di competere con i colossi dell’editoria) ripubblicò l’opera – che nel frattempo era circolata anche in fotocopie -, così come da volere testamentario dell’autore. Malacqua tornerà in una nuova edizione, nel 2022, edita da Bompiani.
Pioverà ancora, diluvierà e scroscerà, pioverà sul nostro amore, sugli impermeabili e non sull’anima, ‘mmiez’a na strada ‘nfosa e sui freschi pensieri, piove quel pata pata ell’acqua, acqua “mala” che in napoletano indica: niente di buono all’orizzonte, cattivi presagi, al massimo un Accadimento Straordinario in vista come se “sulla città silenziosa si fosse levato in quelle ore un interrogativo incompiuto e deforme, una domanda non precisata né formulata ancora, soltanto un’ipotesi un’idea di domanda”. E gocciola l’attesa sulla stenografa Sorrentino Luisa, e sul portiere Irace Salvatore che ha lasciato Guardia Sanframondi per una “casupola angusta di custode” e sui figli che devono “prendersi una laurea”, e sul funerale di De Filippis Rosaria e su suo padre e sui cavalli neri e il cocchiere nero e la carrozza nera, e sulla ragazza dalle grandi tette Cuomo Adriana, e su Lecaldano Paola nell’ufficio postale e sulla sua “vita vera e densa che a lei stava sfuggendo di mano giorno dopo giorno” – tutti cognome e poi nome, come nei verbali. E sul giornalista Andreoli Carlo, alter ego dell’autore, che “crollasse pure Napoli”, e che la folgorazione coglie mentre si fa la barba come nella Telemachia dell’Ulisse di James Joyce. Ognuno aspetta a’ciorta.
Pugliese si ritirò a vita privata, nell’avellinese, e non scrisse più che una raccolta di racconti, La Nave Nera, edita nel 2008 da Compagnia dei trovatori. Non leggeva neanche ormai, soffriva di problemi agli occhi, ma tanto diceva di aver già letto quello che valeva la pena: soprattutto Joyce, appunto, e Kafka e Borges. “Tutto sommato mi va bene Malacqua“. La sua, di storia, è un altro romanzo. Salinger napoletano, l’hanno definito. Ha lasciato questo Medicane che si abbatte su Napoli e sui suoi personaggi, e che infradicia e annega tutto tra flusso di coscienza e realismo magico alla Gabriel Garcia Marquez, e che se la gioca con Ferito a morte di Raffaele La Capria, La Pelle di Curzio Malaparte, Ricomincio da tre di Massimo Troisi, i primi quattro album di Pino Daniele, Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo, un capolavoro a piacere di Eduardo De Filippo per il titolo de “Il Grande Romanzo Napoletano” – dibattito aperto, irrisolvibile, per quanto può valere. Lina Wertmüller avrebbe voluto farne un film. Pugliese: niet. Sull’adattamento è al lavoro un’importante casa di produzione.
Il giornalista Nicola Pugliese
Nicola Pugliese non voleva fare il giornalista. Lo costrinse il padre Antonio: firma de Il Roma, una scheggia in una gamba rimediata nella Guerra di Spagna, autore di canzoni e vincitore del Festival di Napoli con Vurrìa. Pugliese solo a due fece leggere il manoscritto: al fratello Armando, regista affermato, e al collega Mimmo Carratelli. “Mi consegnò questo manoscritto. Mi affascinò però gli dissi che l’inizio mi sembrava un po’ lento. Il resto era formidabile però l’inizio …”, ricorda Carratelli. “Il padre voleva tenerlo vicino. Lui invece voleva approfittare del fatto che il giornale fosse vicino alla flotta Lauro (l’editore, ndr) per imbarcarsi e girare il mondo. Faceva il giornalista con grande distacco e ironia. Girava di qua e di là in redazione con quella sua andatura ciondolante: guardava noi scribacchini, animati dalla passione, con la puzza sotto al naso”.
E quando qualcuno arrivava, e portava una storia o una notizia adatta, annotava: “E pure questa ce la metto”. Pugliese ha definito quel Roma – nonostante la sua fama da giornale “scostumato, maleducato, becero” – una “palestra di cronisti liberi”, dove “c’era di tutto”, dai fascisti ai monarchici ai comunisti ai “democristiani camuffati”. Scriveva di cronaca e cultura e diceva che “i giornali non sono importanti per quello che si scrive ma per quello che non si scrive”. Quella Napoli era pre-Maradona, pre-Raffaele Cutolo, a Palazzo San Giacomo il sindaco Maurizio Valenzi, una città da poco scossa dal cold case del massacro di via Caravaggio. E sempre ad allagarsi e a sbriciolarsi come nel crollo di via Aniello Falcone al Vomero il 20 settembre 1969 e in quello di via Tasso del 16 giugno 1967. I quattro giorni di Pugliese andavano dal 23 al 26 ottobre di un anno imprecisato.
“La scintilla scatenante della scrittura fu il fatto che facendo il giornalista mi dovevo occupare tutti i giorni di un sacco di cose di cui non me ne fregava assolutamente niente”, ha raccontato l’autore a Giuseppe Pesce nel prezioso minidoc Tutto il resto è Malacqua. Il manoscritto, tramite il fratello Armando, arrivò a Italo Calvino che gli consigliò di cambiare l’incipit. Pugliese corresse, Calvino osservò altre correzioni ma il giornalista: “Il libro è questo, se lo vuole pubblicare lo pubblichiamo, altrimenti arrivederci e grazie”. Il romanzo uscì in una edizione di giovani esordienti, subito dopo entrò nella collana dei Nuovi Coralli.
Il primo a celebrare il romanzo fu Luigi Compagnone che capì che il libro raccontava la “non-storia” di Napoli, la città che aspetta di tornare a essere capitale, “sbattuta alla periferia dell’impero” secondo Pugliese. “Malacqua non lo cambiò per niente: rimase tale e quale, un giocherellone, scettico e ironico. Per lui era una faccenda chiusa, non voleva saperne più niente. Aveva un carattere indolente”, ricorda Carratelli che è stato biografo (Libri e cazzotti) di Tullio Pironti. “Trascinavo Tullio a via Petrarca, alla casa che Nicola aveva ereditato dal padre nel palazzo dei giornalisti, dove organizzavamo i nostri poker. Nicola improvvisamente andava in bagno, poi tornava e chiudeva questi punti fantastici: ogni volta una scala reale”.
Il buen retiro di Nicola Pugliese
Pugliese si ritirò ad Avella per stare più vicino alla figlia Francesca che viveva a Mugnano del Cardinale. “Perzechella”, la chiamava. Lui, la moglie Marie Barthelemy Conçalves Pinto do Sacramento Gotti – “un po´ francese, un po’ italiana, un po’ brasiliana”, che aveva sposato nel 1970 – lo chiamava “cucciolone”. Il sindaco gli mise a disposizione una sala per dipingere: i suoi modelli erano Chagall, Kandinskij, Gauguin. Scrisse una commedia per La Mela, la compagnia di Avella. Rifiutò il Premio Napoli alla carriera.
Carratelli lo andò a trovare diverse volte: “Era diventato un personaggio, gigioneggiava su questo ruolo del letterato del paese. Giocava a tressette in piazza e andava al bar Pasquino che conservava gelosamente una copia della seconda edizione di Malacqua. Quando andavo, vedevo che non stava proprio in salute, era un gran fumatore, e gli dicevo di prendersi cura di sé stesso. E lui mi guardava: ‘Ma che me ne fotte …’”. Non era però quel Salinger campano com’è stato spesso definito: “Non aveva quella ruvidezza. Era un sentimentale in fondo, anche se non voleva riconoscerlo. Si opponeva a qualsiasi debolezza dell’essere umano. Malacqua, tra i capolavori della letteratura napoletana, credo sia quello più centrato nella modernità, sui disastri ambientali, e su questo senso di tragedia che sempre incombe sul popolo napoletano. La forza del racconto di Nicola è che non si fa coinvolgere nelle emozioni che suscita: e qui forse gli è servita la pratica giornalistica: per essere un po’ distaccato, vedere il mondo a distanza”.
Il culto di Malacqua
Pugliese scrisse in 45 giorni il romanzo, proprio come in un temporale, un acquazzone infinito, la pioggia che batte e scende e infradicia la città, un’acqua biblica e apocalittica, diluvio redentore e liberatorio. E un suono costante in sottofondo, un “sibilo” e un “ronzio”, un “brusio”, voci e un grido “che sale gonfia e preme mentre lievita l’attesa” – e forse non è “l’attesa, sempre, un desiderio di morte?”.
Piove ancora a Napoli, non ha mai smesso di piovere a quella maniera fitta e feroce. Piove e crolla un terrazzo a Posillipo, a Pianura la strada diventa una piscina, furgoncini dell’Asia sprofondano negli avvallamenti, un albero crolla e distrugge una macchina e a piazza Cavour si è rischiata la strage, a Castellammare qualcuno tira fuori una canoa e posta il video sui social, bloccati i collegamenti con Ischia e Procida e Capri ancora “distesa a ricordare, estranea alla città come torre indecifrata, vicina sì, quanto vicina, e lontanissima”. Come si dice? “Stiamo sotto al cielo”, ecco. E tutti i personaggi ansiosi e arresi, speranzosi e angosciati, a guardare fuori alla finestra, ad aspettare che smetta, in attesa di un Accadimento straordinario – ma non è che poi è questo l’Accadimento straordinario? Quello che colpisce tutti, nello stesso momento, e ognuno a chiedersi se finirà e quando finirà e come sarà quando ne usciremo, e a dirsi che quando sarà adesso basta, va cambiata questa esistenza, è arrivato il momento, è giunta l’ora in questa vita “che passa accanto e con le mani ti saluta e fa bye bye”. Una pandemia travestita da Medicane. Ma Napoli non sprofonda, cigola sull’orlo, schizzichea con euforia e indolenza, barcolla sui bordi del baratro ma non sprofonda. Chi l’ha detto che non può piovere per sempre.