La visita alle comunità colpite da devastazioni e inondazioni
Malala torna in Pakistan: la visita della Premio Nobel a 10 anni dall’attentato dei talebani

A dieci anni da quando venne aggredita, colpita dai talebani in un attacco terroristico, dal volo che le salvò la vita, Malala Yousafzai torna in Pakistan, suo Paese natale. La Premio Nobel si è recata in visita nelle comunità recentemente vittime di inondazioni che hanno devastato intere zone rurali. Anche negli anni successivi all’attentato, nel Paese ci sono stati oltre ad attestati di stima anche proteste contro la ragazzina considerata colpevole secondo gli estremisti di diffondere idee contrarie all’Islam. Malala era tornata in Pakistan già nel 2018.
Era il 9 ottobre 2012 quando membri del gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan, i talebani pachistani, fecero irruzione sul mezzo su cui l’allora 15enne Malala viaggiava di ritorno da scuola a Mingora, nella valle di Swat, e la colpirono con un proiettile alla testa. Malala era una protagonista nella campagna a favore della scolarizzazione delle ragazze. Dopo l’attentato, ferita molto gravemente alla testa, fu trasportata nel Regno Unito dove venne curata. Dieci i talebani che vennero condannati, anche all’ergastolo, otto dei quali sono però stati scarcerati.
Tre anni prima dell’operazione dei talebani Malala aveva scritto un testo in cui parlava della sua città e in cui raccontata i roghi delle scuole femminili da parte dei talebani. Quel testo venne pubblicano sul sito della BBC e circolò molto in Pakistan. Era stata perciò inserito in una lista di persone da colpire perché colpevoli della diffusione del secolarismo. Il portavoce dei talebani, dopo la rivendicazione dell’attacco, aveva parlato di “oscenità” da parte della ragazzina.
Malala Yousafzai è stata insignita nel 2014 del Premio Nobel per la Pace. È diventato un simbolo della resistenza all’estremismo religioso. Resta ancora oggi la personalità più giovane ad aver ricevuto il riconoscimento. Ha tenuto un discorso all’Assemblea delle Gioventù delle Nazioni Unite, a New York, nel 2013. Aveva parlato de “i libri e le penne sono le armi più potenti”, dell’educazione come “unica soluzione”, dei talebani che “se pensavano di farci tacere con l’uso dei proiettili, non ci sono riusciti“.
“Nonostante la sua giovane età – osservava il Comitato del Nobel nel conferire il Premio – Malala Yousafzay già da anni combatte per i diritti delle bambine all’educazione e ha dimostrato con l’esempio che i giovani possono anche loro contribuire a migliorare la situazione. E lo ha fatto nelle circostanze più pericolose: attraverso la sua battaglia eroica, è diventata una voce guida per i diritti dei bambini all’educazione“. E lei commentava: “Non credo che il Premio sia stato dato solo a me, ma a tutti i bambini che non hanno voce, ecco perché parlo a nome loro. Tutti i bambini hanno diritto a ricevere un’istruzione di qualità, a non soffrire per il lavoro minorile, per la tratta degli esseri umani. Hanno il diritto di essere felici”.
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