La cristianità evocata nel titolo nulla ha a che vedere con il cristianesimo, con la catechesi o con la dottrina della Chiesa. In Sicilia alcuni esponenti, non tutti, ma pur sempre troppi, della cosiddetta classe dirigente, economica, politica, sentono il bisogno di affiancarsi a epigoni di un’altra classe dirigente, quella che è, o dovrebbe essere, dedita al controllo del territorio. Ovviamente non parliamo di Polizia o Carabinieri, ma dei mafiosi.

Ultimo episodio è quello accaduto nel trapanese, terra dell’ex primula rossa Matteo Messina Denaro. Un ex senatore del Pd, poi transitato ad altre sponde politiche, viene arrestato perché versa – per il tramite di un ex vicesindaco di Alcamo, paese anticamente famoso per aver dato i natali a uno degli antesignani del volgo italico, Ciullo d’Alcamo – 2.000 euro a un esponente mafioso locale. Apprendiamo dalle intercettazioni che il politico rimane assolutamente insoddisfatto del ritorno in voti – si trattava delle regionali scorse – per il suo candidato, e con linguaggio, questo sì mafioso, si augurava che il mafioso, truffaldo o incapace, prendesse una bella lezione di bastonate. Questo fenomeno, che ovviamente è in fase indiziaria e non assurge a sentenza di colpevolezza, in Sicilia è praticamente trasversale: tutti i partiti, da quello della premier ad altri, perfino il vicepresidente della Regione, sono stati accusati, e non condannati, oggi, per aver avuto contatti con la criminalità mafiosa.

Ma cosa cercano i politici, o gli imprenditori, dai mafiosi? Garanzie di protezione o di vantaggio nella competizione con altri attori del proprio scenario. La mafia alterava la concorrenza, dovrebbe – paradossalmente – essere sanzionata dalla rispettiva Autorità Antitrust. Ma oggi la mafia ha un reale controllo del voto? Da tanti episodi, arrivati al dibattimento processuale, si evince che da anni la mafia non controlla più il territorio. Negli anni 80 Cosa Nostra aveva a libro paga decine di migliaia di persone, stipendiate mensilmente, per il controllo del territorio e per le attività criminali. Questo in forza di un PIL criminale, derivante dal traffico degli stupefacenti e dagli appalti coercibili in loco, di straordinario importo.

La lotta alla criminalità organizzata, soprattutto dopo le stragi del 1992, ha decapitato la gerarchia di Cosa Nostra, lasciando sul territorio siciliano quinte o seste file non più capaci di sufficiente forza militare né economica. Pertanto costoro non sono più in grado di controllare capillarmente la popolazione: si limitano a precisi e singoli affari, e soprattutto sono a malapena capaci di spostare pochissimi voti, rispetto a trenta o quarant’anni fa. Il politico arrestato quantificava in non più di 30 voti quelli ottenuti grazie all’appoggio mafioso. Un capo condomino è capace di influenzarne molti di più. Praticamente si sentiva truffato perché aveva pagato 70 euro per ogni voto, un’enormità se si considera che per essere eletti alle regionali si devono prendere migliaia di voti di preferenza.

Ma perché allora, ancora oggi, si cerca l’appoggio mafioso? Per una profonda insicurezza che attanaglia, nello scontro con i concorrenti, il politico locale siciliano. La ricerca del mafioso rappresenta un dato culturale, di cui ancora non ci spogliamo, nonostante la quasi nulla praticità. Ci si sente apposto solo se si è sotto l’egida di una forma quasi scaramantica, una specie di rito voodoo di transfert divinatorio. Soltanto che, essendo i mafiosi fintamente cristiani, scomunicati da papa Wojtyła da un pezzo, perché giurano su santini raffiguranti Santi Patroni, questa ricerca osmotica di contatto viene indicata in Sicilia come malattia di cristianità. Perché i “veri” cristiani, secondo vecchie accezioni, difensori di un mondo arcaico, sono i mafiosi, gente a posto, quindi cristiana, rispetto ad atei, laici e altri scappati di casa, come si dice da queste parti. Ovviamente non parliamo dei comunisti, qui in Sicilia sono scomparsi da tempo o rifugiati in riserve come i panda. È la riproduzione di un mondo antico, inefficace e inutile per garanzie di riservatezza, al tempo di Internet, cellulari e tecnologia satellitare. Ma i nostri politici, di qualunque formazione o provenienza, sono ancora, inutilmente, tradizionalisti. Pertanto cercano un Santo in Paradiso o, più profanamente, all’Inferno.