Chiariamo una cosa in premessa. Chi scrive non vuole mettere in dubbio la matrice neofascista della strage di Bologna. Tocca scriverlo perché questo è il livello del dibattito cui siamo costretti. Le sentenze definitive infatti, vanno applicate e rispettate, ma è possibile certamente discuterle, essendo scritte da giudici, uomini, fallibili per definizione. Il successo del podcast sul processo per l’omicidio di Marta Russo, seguitissimo a sinistra, ne è una prova. Ma allora se nessuno, non qui, vuole mettere in dubbio la matrice neofascista, perché andare oltre, alimentando il dubbio? Perché una sentenza è passata dalla carne viva, dall’animo, e dalla storia delle persone. Che in questo caso hanno già finito di scontare la pena, quindi qualunque dibattito non influenza la loro condizione giuridica. Forse solo quella umana.
È vero che ci sono esponenti di destra che non hanno mai cambiato idea sull’innocenza di Mambro e Fioravanti. Ma è vero pure che ci sono esponenti di sinistra che l’hanno cambiata eccome.

Ad esempio Alessio D’Amato, consigliere regionale oggi di Azione, che qualche mese fa è stato il candidato presidente del Lazio di tutto il centrosinistra (senza 5stelle) voluto dal Partito Democratico. Oggi Alessio D’amato tuona “Presidente Rocca, prenda le distanze dal suo portavoce De Angelis. Le sue parole sono un affronto ai familiari delle vittime della strage neofascista di Bologna e alla verità giudiziaria. Non trascini l’istituzione regione in questo affronto storico” e ancora “da Rocca un silenzio assordante, capisco l’antico e cameratesco sodalizio ma Rocca si ricordi di fare il Presidente e di non trascinare la Regione in questa vergognosa riscrittura della storia”. Eppure Alessio D’Amato, che era consigliere regionale già nel ’95, è tra i firmatari della famosa mozione, ricordata in questi giorni, approvata all’unanimità dal consiglio del Lazio durante la presidenza di centrosinistra di Pietro Badaloni, con cui si chiedeva la revisione del processo.

Il documento chiedeva che “La Commissione Parlamentare di inchiesta sulle stragi dia luogo alle necessarie audizioni per acquisire le dichiarazioni dei testimoni a difesa di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, che non sono stati ammessi nel dibattito processuale; che esamini con una ulteriore serie di audizioni tutti gli elementi di contraddizione dell’impianto accusatorio che ha portato alle condanne di Mambro e Fioravanti, partendo dalle motivate obiezioni proposte dal comitato. E se fossero innocenti?; e di riesaminare tutti gli elementi di collegamento che sussistono tra la strage di Ustica e quella di Bologna”.
La mozione fu firmata anche da Angelo Bonelli, anche lui in consiglio regionale nel ’95. Che oggi invece, leader dei Verdi, tuona “Quello che sta accadendo in Regione Lazio è veramente indecente, indecente per la storia del nostro Paese ed è anche un’assenza totale di rispetto per le nostre istituzioni, a partire dalla Presidenza della Repubblica. De Angelis si deve dimettere oppure il presidente della Regione usi lo strumento della revoca dell’incarico a questa persona che nega eventi storici e le sentenze dei tribunali della Repubblica italiana”. Ma lui all’epoca non metteva in dubbio la sentenza?

“Solo pochi giorni fa, alla Camera, è stata approvata una mozione della maggioranza in cui si chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla strage per indagare su una pista palestinese, senza mai nominare la matrice neofascista. È inammissibile che, in Italia, chi riveste cariche istituzionali possa tentare di riscrivere la storia introducendo dubbi completamente infondati, come quelli sollevati da De Angelis. La verità – conclude Bonelli – è chiara e riconosciuta da tutti: sia il Presidente della Repubblica Mattarella che le sentenze dei nostri tribunali hanno stabilito inequivocabilmente una matrice neofascista e piduista dietro la Strage alla Stazione di Bologna”. Ma quindi Bonelli ha dimenticato cosa aveva firmato nel ’95?
E all’epoca a pensarla come Bonelli e D’Amato, sin dal principio, sono stati soprattutto esponenti di sinistra. Tra loro però certamente non c’è, a differenza di quanto qualcuno ha riportato in questi giorni, Massimo D’Alema. Il nostro non è mai stato garantista, se non pro domo sua. Bensì esponente di quella contiguità tra il Pci e la magistratura, tra i ds e md. D’Alema può essere accusato di intelligenza col nemico per patti d’affari (politici), mai per onestà intellettuale. E infatti all’indomani della sentenza del 19 luglio 1990, quando la Corte di assise di appello di Bologna assolse Mambro e Fioravanti, L’Unità che all’epoca era guidata proprio da D’Alema, pubblicò la sua prima pagina completamene bianca, in segno di protesta con i giudici. Mentre il Manifesto, che era diretto da Valentino Parlato, titolò: «Lo scandalo di una sentenza giusta».

L’Unità tornerà dubbiosa con Furio Colombo, che ancora oggi conferma quei dubbi. Come li conferma e mantiene Luigi Manconi. Che è stato citato da Andrea Orlando ma con un taglia e cuci. Delude infatti la posizione dell’ex guardasigilli che pure non appartiene alla corrente dalemianbersaniana della “ditta” ma a quella più nobile, migliorista, e certamente garantista, di Giorgio Napolitano e del compianto Emanuele Macaluso, ma che oggi sottolineando la mancata dissociazione della destra, evita di citare il dubbio della sinistra. Ma perché una tradizione politica che a lungo ha alimentato il dibattito sulle responsabilità della strage di Bologna, oggi mette al rogo chi osa riaprirlo?
Questo è forse l’errore che oggi consegniamo alla storia, e alla politica. Aver lasciato solo la destra a nutrire i dubbi (che per loro sono certezze) ha fatto sì che oggi chi li esprime diventi direttamente “fascista”, e chi ne aveva preferisce rimangiarseli piuttosto che contribuire alla verità. Cui solo la decretazione degli atti contribuirà.
Noi non vogliamo riscrivere le sentenze, noi non conosciamo la verità. Ma sappiamo che tanti politici di sinistra che in questi giorni hanno attaccato Rocca lo hanno fatto forse per ragioni diverse da quelle espresse pubblicamente. E Bonelli e D’Amato prima di attaccare gli avversari farebbero bene a rileggere ciò che loro stessi dicevano.