Il progetto in sospeso
Mancano le strutture, 79 detenuti costretti a rimanere in carcere

Il carcere come albergo dei poveri. Accade quando il sistema non riesce a garantire la tutela dei diritti di chi ha poco o nulla, di chi non ha una casa o non ha un lavoro. Accade quando il territorio non è capace di creare accoglienza e inclusione, la burocrazia funziona sulla carta ma non nella pratica e le carenze sono tali da annullare o ritardare la possibilità di un’alternativa. Il problema è stato ribadito nel corso dell’assemblea nazionale dei garanti che si è tenuta a Napoli, alza il velo su una criticità che pesa sulle vite di tanti reclusi e ora, in tempo di Covid e di emergenza sanitaria, sembra assumere proporzioni ancora più drammatiche.
«Nei mesi del lockdown è stato difficile far uscire migliaia di potenziali beneficiari della detenzione domiciliare perché non avevano un domicilio», hanno denunciato i garanti delle varie regioni d’Italia. Liste di attesa bloccate, carenza di strutture e di case di lavoro, numero di educatori insufficiente rispetto al numero dei reclusi da seguire e detenuti che, pur beneficiando di misure alternative alla detenzione, restano ad affollare le celle, già stracolme fino ai limiti della vivibilità, perché non hanno un domicilio, un avvocato di fiducia che possa seguire la pratica, un lavoro o i soldi per potersi permettere un tetto sulla testa che non sia quello umido del carcere. Eccola la situazione ed ecco perché il carcere finisce per diventare anche un albergo dei poveri, come se nelle celle ci fosse abbastanza spazio per continuare a ospitare anche chi ha raggiunto i requisiti per non doverci più stare dietro le sbarre. È un paradosso, ancora uno, del sistema penitenziario del nostro Paese.
In Campania si contano 79 detenuti in queste condizioni. Ad agosto scorso si era conclusa la procedura per il finanziamento di centri di accoglienza per detenuti e detenute senza fissa dimora, un progetto nato dalla sinergia tra la Regione, l’assessorato alle Politiche sociali, l’Ufficio del garante regionale, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, l’Ufficio di esecuzione penale esterna e il Dipartimento giustizia minorile e di comunità della Campania. La somma di 300mila euro, concessa dalla Cassa delle ammende del Ministero di Giustizia, era stata destinata a centri di accoglienza per detenuti indigenti, detenute madri con figli e giovani adulti dai 18 ai 25 anni, senza fissa dimora, per un totale di 65 detenuti. Ma a oggi sono poco più di una decina quelli che hanno beneficiato concretamente della possibilità di essere affidati a uno di questi centri di accoglienza e sono così pochi per la difficoltà, segnalata dal garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello, di avviare le pratiche per questi detenuti che non hanno nulla.
«Serve coinvolgere di più gli educatori e i direttori delle strutture», dice il garante sottolineando la necessità di tenere alta l’attenzione su questo aspetto del sistema che può e deve funzionare meglio e, indirettamente, può rappresentare una soluzione per svuotare carceri che rischiano di scoppiare con la pandemia in atto. Il progetto cui potrebbero accedere i detenuti senza fissa dimora della Campania prevede un alloggio in unità abitative indipendenti o centri di accoglienza in ambito comunitario, un sostegno per le esigenze di prima necessità, un sostegno economico e sociale, in particolare per le detenute madri con figli minorenni. Si tratta di alloggi transitori, ma pur sempre di una possibilità concreta per la tutela di diritti inalienabili e la funzione rieducativa che deve avere la pena. «Soccorrere chi abbia scontato la propria pena assegnandogli un alloggio, significa anche rispondere all’esigenza di sicurezza sempre più presente nelle nostre città – aveva spiegato il garante Ciambriello alla presentazione del progetto – Bisogna evitare che un detenuto, il cui percorso di risocializzazione non si sia ancora compiuto, rischi di ricadere in una recidiva».
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